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Colpito un asteroide: storica impresa della Nasa

Un giorno accadrà. Come nel film Don’t Look Up, giusto per scegliere il più recente del prolifico filone dei disaster movies sulla minaccia da impatti planetari, un giorno un telescopio inquadrerà un oggetto di ragguardevoli dimensioni potenzialmente destinato a incrociare il nostro pianeta. Osservazioni e calcoli successivi confermeranno con sempre maggior certezza la drammatica eventualità. Fino a che non ci sarà più alcun dubbio: ci colpirà. È già accaduto innumerevoli volte in passato, e accadrà di nuovo. A meno che…

A meno che “qualcosa” non intervenga ad alterare la rotta che la meccanica celeste ha previsto per quell’oggetto. E, sperabilmente, a evitarci l’impatto. Sarebbe la prima volta nella storia del nostro pianeta. Fantascienza? O la tecnologia attuale è già abbastanza matura per tentare di mettere in atto una campagna di difesa planetaria dalla minaccia di un asteroide? È la domanda alla quale ha provato a rispondere in modo sperimentale questa notte, alle 01:14 ora italiana, la missione Dart della Nasa. In che modo? Colpendo in pieno con una sonda da 570 kg, viaggiante a oltre 22mila km/h, un asteroide da 160 metri di diametro – il piccolo Dimorphos – a undici milioni di km dalla Terra.

Com’è andata? Quel che al momento possiamo dire con certezza è che l’obiettivo è stato centrato. Ed è già un primo successo notevole. A testimoniarlo, in tempo quasi reale (al netto del ritardo di qualche dozzina di secondi dovuto alla “lentezza” della luce), la pazzesca sequenza di avvicinamento del “dardo” targato Nasa al suo bersaglio. La potete rivedere nel video qui sopra: uno zoom mozzafiato – o meglio, una carrellata, visto che era proprio la “cinepresa” (per l’esattezza, la fotocamera di bordo Draco) ad avvicinarsi fisicamente al soggetto – che nell’arco di pochi minuti ha trasformato quella che era una manciata di pixel in un’immagine dettagliatissima che ha rapidamente occupato l’intera inquadratura, fino a mostrarci ogni singolo sassolino di quel lontano asteroide, per poi di colpo interrompersi, restituendoci un’ultima schermata quasi completamente rossa, screziata giusto da un’ultimissima pennellata di pixel nelle righe superiori. L’interruzione del segnale da una sonda spaziale più attesa e agognata nella storia. La conferma dell’avvenuto impatto.

Un primo successo notevole, dicevamo. Ovviamente non basta: il colpo è andato a segno, ma ha avuto un qualche effetto? Per sancire il completo successo della missione, occorre capire se “lassù” qualcosa è cambiato. E misurare di quanto è cambiato. A questo scopo, sono state adottate alcune strategie e soluzioni.

La prima è la scelta stessa di Dimorphos come bersaglio. Scelta non casuale. Non solo perché è piccolo, dunque più sensibile a una “spallata”, e perché è sicuro, nel senso che distanza e traiettoria garantiscono al di là di ogni possibile dubbio che l’intervento di Dart non lo renderà mai pericoloso per la Terra. La caratteristica che rende Dimorphos il bersaglio perfetto è che non viaggia da solo: orbita attorno a un asteroide più grande, Dydimos, 780 metri di diametro. Ebbene, sarà proprio la misura della variazione – per l’esattezza, dell’aumento, che gli scienziati si attendono sarà nell’ordine dell’un per cento, dunque attorno ai dieci minuti – del periodo orbitale di Dimorphos attorno a Dydimos a sancire e quantificare l’efficacia dell’impresa di questa notte.

Qui entra in gioco anche l’Europa, Italia in testa. Come? L’Europa sta a guardare. In senso buono. Oltre a misurare il ritardo orbitale è infatti importante valutare i “danni” prodotti. Quanta polvere si è sollevata? Si è formato un cratere? Di che dimensioni?

Testimoni oculari

Domande alle quali inizierà a rispondere nelle prossime settimane il piccolo satellite “made in Italy” LiciaCube, fornito dall’Agenzia spaziale italiana e realizzato dalla Argotec di Torino. Due settimane fa, dopo aver volato a bordo di Dart per quasi un anno, LiciaCube si è separato dal “dardo” proprio allo scopo di mettersi in posizione ottimale per documentarne le gesta. Dunque questa notte, là nei pressi del sistema binario Didymos-Dimorphos, non c’era solo la fotocamera Draco a bordo di Dart, a immortalare la sequenza d’impatto, ma anche i due “occhi” di LiciaCube: Leia e Luke – il “tele” e il “grandangolo”. Quella che ci mostreranno sarà una sequenza senza interruzione: ci sarà il prima ma anche il dopo. Occorre però un po’ di pazienza: poiché LiciaCube non è dotato di un’antenna di grandi dimensioni, spiega la Nasa, le immagini verranno inviate a Terra una a una nel corso, appunto, delle prossime settimane.

Niente in confronto all’attesa necessaria per ricevere dati e immagini dettagliate del cratere prodotto: almeno quattro anni. Soltanto nel 2026 avverrà infatti il sorvolo della “scena del delitto” da parte della missione Hera dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea.

Nel frattempo possiamo però placare l’impazienza e consolarci – ampiamente – con le straordinarie immagini raccolte questa notte dal Virtual Telescope di Gianluca Masi, che usando il Klein Karoo Observatory, in Sudafrica, è riuscito a registrare la variazione di luminosità e persino la nube di polvere sollevata dall’impatto.

 

Fonte: Media INAF

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