Dopo essere riuscite a nascondersi per anni, sono state finalmente scoperte le stelle più primitive al di fuori della Via Lattea, grazie a nuove osservazioni ottenute con il Very Large Telescope (VLT) dell'ESO.
“Abbiamo scoperto di fatto un errore nel metodo di indagine utilizzato finora”, spiega Else Starkenburg, autore principale dell'articolo in corso di pubblicazione sulla rivista Astronomy and Astrophysics. “Il nostro metodo più avanzato ci permette di smascherare le stelle primordiali nascoste in mezzo a tutte le altre.”
Si pensa che le stelle primordiali si siano formate con materia prodotta poco dopo il Big Bang, 13,7 miliardi di anni fa. In generale, hanno meno di un millesimo degli elementi più pesanti di idrogeno ed elio rispetto al Sole e sono chiamate stelle estremamente povere di metalli. Appartengono a una delle prime generazione di stelle dell'universo vicino. Molto rare, sono conosciute prevalentemente nella Via Lattea.
I cosmologi pensano che le galassie più grandi, come la Via Lattea, si siano formate dall'accorpamento di galassie più piccole. La popolazione di stelle estremamente povere di metalli, o “primordiali”, della Via Lattea dovrebbe essere stata già presente nelle galassie nane che l'hanno formata, e ci dovrebbero essere stelle dello stesso tipo nelle altre galassie nane.
“Finora c'erano poche prove della loro esistenza”, spiega la coautrice italiana Giuseppina Battaglia. “I grandi studi sistematici portati avanti negli anni passati continuavano a mostrare che le popolazioni stellari più antiche nella Via Lattea e nelle galassie nane sono differenti, al contrario di quanto ci si aspettava nei modelli cosmologici.”
L'abbondanza di un elemento si misura attraverso gli spettri, che contengono le impronte digitali delle stelle. Il gruppo di ricerca ha misurato gli spettri di più di 2000 stelle giganti in quattro galassie vicine, quelle della Fornace, dello Scultore, del Sestante e della Carena. Considerato che distano attorno ai 300.000 anni luce, se ne possono studiare soltanto le caratteristiche più marcate, come se si trattasse di impronte digitali sfocate.
I ricercatori hanno notato che nessuno degli spettri nel loro campione apparteneva al tipo di stelle cercato, ma poi hanno confrontato gli spettri con modelli elaborati al computer, accorgendosi che ci sono solo differenze minute tra le “impronte” delle normali stelle povere di metalli e quelle che ne sono estremamente povere, il che spiega come mai le ricerche precedenti non siano riuscite a identificarle correttamente.