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Affollamento in banda radio

Le preoccupazioni sollevate dall’inquinamento luminoso sono sotto gli occhi di tutti noi, ogni volta che da una città alziamo gli occhi al cielo ormai diluito in una cappa biancastra senza stelle. Molto meno evidente, ma non meno grave, è invece il crescente affollamento dello spettro radio, che rappresenta un problema molto serio per la radioastronomia. Nel giro di pochi anni infatti, decine di migliaia di satelliti saranno operativi in orbita intorno alla Terra – Starlink in prima linea – e tutti, a prescindere dalla loro funzione, utilizzeranno onde radio per trasmettere informazioni a Terra.

Finora, le osservazioni radio sono state tutelate da vere e proprie zone di silenzio radio, regioni in cui i trasmettitori a terra, come le torri dei cellulari, devono abbassare i livelli di potenza per non influenzare altre apparecchiature radio sensibili.  Ma più numerose sono le trasmissioni radio, più diventa difficile gestire le interferenze nelle zone di silenzio radio. Le leggi attuali non proteggono queste zone dai trasmettitori satellitari, che possono avere effetti devastanti sulle comunicazioni. Per fare un esempio che rende l’idea, mostriamo (in basso) le trasmissioni di un satellite Iridium che hanno oscurato completamente le osservazioni di una stella debole effettuate in una banda protetta destinata alla radioastronomia.

«Il problema dei segnali artificiali emessi dallo spazio che interferiscono con le osservazioni radioastronomiche è particolarmente critico (rispetto alle trasmissioni da terra) per diversi motivi. In primis, le leggi nazionali che in certi casi definiscono delle zone di coordinamento a protezione delle osservazioni scientifiche da alcuni radiotelescopi pongono delle restrizioni nell’installazione di apparati a terra ma non hanno valore per trasmissioni dallo spazio» spiega Pietro Bolli, radioastronomo all’Inaf di Firenze e rappresentante dell’Ente all’interno del Committee on Radio Astronomy Frequencies (Craf).

Ma le preoccupazioni non sembrano arrivare solo dall’alto, chiarisce Bolli: «Anche le trasmissioni da terra sono una minaccia concreta: ultimamente la pressione del 5G nell’acquisire sempre più bande di frequenza è letteralmente esplosa. Alla prossima World Radio Conference, il 5G potrebbe vedersi assegnata la banda 6.5 – 7.0 GHz al cui interno cade la riga del metanolo da tanti anni usata dai radio astronomi per gli studi di formazione stellare».

L’unica soluzione che sembra possibile per minimizzare le conseguenze negative del sovraffolamento dello spettro radio sembra essere la sua condivisione nel tempo, nello spazio o nella frequenza.  Questa ipotesi è supportata anche dallo studio pubblicato recentemente su Ieee Communications Magazine, in cui emerge che le zone radio dinamiche come proposta di “coabitazione” dello spettro radio rappresentano un’opportunità per risolvere o evitare molti problemi di interferenza critici nei prossimi decenni.

Si tratterebbe di creare zone simili alle zone di silenzio radio già esistenti, ma a differenza di queste la struttura sarebbe dotata di un sistema di monitoraggio che consentirebbe agli scienziati e alle aziende satellitari o tecnologie connesse di far funzionare contemporaneamente ricevitori e trasmettitori di segnali radio. L’obiettivo sarebbe quello di promuovere un uso cooperativo dello spettro radio, unendo ad esempio un accesso alla banda radio per usi attivi, come le torri per la telefonia cellulare, sia per usi passivi, come i radiotelescopi.

I primi segnali di cooperazione esistono già. La National Science Foundation e SpaceX hanno finalizzato già dal 2019 un accordo di coordinamento per mitigare le potenziali interferenze delle trasmissioni dei satelliti SpaceX, concentrandosi sulla banda radioastronomica 10,6 – 10,7 GHz. Non solo: nell’accordo è prevista una collaborazione per ridurre anche l’impatto sulle strutture osservative astronomiche terrestri ottiche e a infrarossi, coerentemente con le raccomandazioni emerse dal NoirLab, dell’American Astronomical Society e dal centro Dark and Quiet Skies dell’Unione astronomica internazionale. Queste raccomandazioni confermano una continuità sugli intenti di collaborazione per fissare la luminosità ottica dei loro satelliti massimo alla settima magnitudine visuale attraverso modifiche strutturali del design, delle manovre di assetto o altre eventuali soluzioni ancora da sviluppare.

Attualmente è in fase di discussione a livello europeo e mondiale l’utilizzo delle cosiddette bande di frequenza passive, in cui nessuna trasmissione è consentita per nuovi apparati trasmittenti. Questo rischierebbe di far perdere definitivamente il livello di protezione necessario per effettuare in alcune bande di frequenze osservazioni estremamente sensibili. «La tecnologia industriale è oramai matura per sviluppare nuove applicazioni anche alle alte frequenze (superiori a 20 GHz). Per esempio i radar previsti nelle autovetture utilizzeranno, da ora in avanti, la banda a 77 GHz. Questo significa che il problema delle interferenze non è più solo un problema delle basse frequenze, come accadeva fino a pochi anni fa, ma anche delle alte frequenze», conferma Bolli.

L’Istituto nazionale di astrofisica è molto attivo nello spectrum management partecipando a tutti i tavoli tecnici e regolatori del settore, sia a livello nazionale che internazionale. Inoltre, dal punto di vista operativo, presso ogni radiotelescopio Inaf sono attive unità di personale e strumentazione avanzata a radio frequenza per il monitoraggio delle bande di frequenza assegnate alla radioastronomia per cui l’eventuale presenza di segnali interferenti viene regolarmente denunciata alle autorità competenti.

 

Fonte: Media INAF

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