Il cosmo, un enorme laboratorio di reazioni nucleari, nasconde ancora molti segreti. Una nuova ricerca, guidata dall’Istituto di fisica nucleare (Infn) con la partecipazione dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), pubblicata oggi sulla rivista Physical Review Letters e condotta al Cern presso l’esperimento n_Tof, getta luce sul mistero della produzione di cerio nell’universo, ponendo nuove domande stimolanti sulla nucleosintesi stellare e l’evoluzione chimica delle galassie.
Sebbene non sia famoso, il cerio è un elemento chimico fondamentale, qui sulla Terra. Fa parte delle cosiddette terre rare, al giorno d’oggi fondamentali per le più avanzate applicazioni tecnologiche ma anche per oggetti utilizzati quotidianamente da miliardi di persone nel mondo: senza il cerio, ad esempio, non funzionerebbero gli accendini.
Nello studio, n_Tof è stato utilizzato come sorgente di fasci di neutroni che riproduce alcune delle reazioni da essi indotte, determinanti in vari campi di ricerca, tra cui la fisica medica, l’astrofisica nucleare e la produzione di energia. Le misure portate avanti a n_Tof sono state affiancati da sofisticati modelli teorici, utili a comprendere la produzione degli elementi chimici nell’universo, a partire dal Big Bang, fino ad arrivare ai processi di cattura neutronica lenta e veloce, che avvengono – rispettivamente – nelle stelle Agb e durante le fasi finali dell’evoluzione delle stelle massicce.
Le abbondanze degli elementi più pesanti del ferro osservati nelle stelle (come stagno, argento, oro e piombo) si possono riprodurre dal punto di vista teorico ipotizzando l’esistenza di due processi di cattura neutronica: il processo di cattura neutronica lenta (o processo s, dall’inglese slow) e il processo di cattura neutronica veloce (o processo r, dall’inglese rapid). I flussi neutronici che li caratterizzano sono di circa 10 milioni di neutroni per centimetro cubico e più di un milione di miliardi di miliardi di neutroni per centimetro cubico, rispettivamente. Tanto per intenderci, il processo s produce circa la metà degli elementi più pesanti del ferro presenti nell’universo. Il cerio è uno di essi.
Relativamente raro nella crosta terrestre, nell’universo il cerio è leggermente più abbondante e lo scopo della ricerca condotta a n_Tof è stato proprio la misurazione della sezione d’urto della reazione nucleare dell’isotopo 140 del cerio con un neutrone per produrre l’isotopo 141, un meccanismo chiave per il processo di cattura lenta di neutroni. Questa reazione, svolgendo un ruolo cruciale nella sintesi di elementi pesanti nelle stelle, è stata misurata a tutte le energie di interesse astrofisico con un’accuratezza senza precedenti, inferiore al 5 per cento. La sezione d’urto è una grandezza fisica adoperata per descrivere un processo di interazione tra particelle; la sua misura è importantissima in fisica nucleare per risalire ai meccanismi dinamici delle singole reazioni e quindi alle interazioni nucleari. Proprio attraverso la misura delle sezioni d’urto – intese come il numero di eventi rivelati per unità di tempo da un determinato rivelatore, ovvero la grandezza fisica che esprime la probabilità che una reazione avvenga – si ricavano informazioni relative alle forze nucleari.
«La misura che abbiamo effettuato ci ha permesso di identificare risonanze nucleari mai osservate prima nell’intervallo di energie coinvolte nella produzione del cerio nelle stelle», spiega Simone Amaducci, dei Laboratori nazionali del Sud dell’Infn e primo autore dello studio. «Questo grazie all’altissima risoluzione energetica dell’apparato sperimentale ed alla disponibilità di un campione purissimo di cerio 140».
L’esperimento, che ha utilizzato la prima linea di accelerazione dei protoni del Cern – ovvero quelli che poi finiranno, con energie molto più grandi, all’interno del grande acceleratore Lhc –, è stato proposto da Sergio Cristallo dell’Inaf d’Abruzzo, e apre nuovi interrogativi sulla natura e sulla composizione chimica dell’universo. Un aspetto intrigante della scoperta riguarda una discrepanza significativa tra le previsioni sulla quantità di cerio sintetizzata nelle stelle e le osservazioni spettroscopiche di stelle arricchite dal processo s nell’ammasso globulare M22. «Quello che ci ha incuriosito, all’inizio», ricorda a questo proposito Amaducci, «è stata una discrepanza tra i modelli stellari teorici e i dati osservativi del cerio nelle stelle dell’ammasso globulare M22, nella costellazione del Sagittario».
«I nuovi dati nucleari», osserva Cristallo, «sono significativamente diversi da quelli presenti nelle “librerie nucleari” utilizzate attualmente, persino del 40 per cento, decisamente oltre l’incertezza stimata».
I risultati delle ultime misurazioni n_Tof hanno notevoli implicazioni astrofisiche, suggerendo una riduzione del 20 per cento del contributo del processo s all’abbondanza di cerio nella galassia. Questo cambiamento avrà un impatto significativo sulla nostra comprensione dell’evoluzione chimica galattica, con conseguenze anche per la composizione di elementi più pesanti.
Inaspettatamente, i nuovi risultati nucleari portano nella direzione opposta rispetto a quella necessaria per risolvere questa discrepanza tra teoria e osservazione. «È necessario un “cambio di paradigma” nell’interpretazione della nucleo sintesi del cerio», sostiene Cristallo, «che includa l’esistenza di altri processi fisici, al momento non considerati nei calcoli di evoluzione stellare».
La ricerca influenzerà i vari modelli stellari, migliorando le stime teoriche dell’abbondanza di cerio nelle stelle. «I nuovi dati nucleari sono fondamentali per determinare la “robustezza” dei dati spettroscopici delle grandi campagne osservative – quali Gaia, Apogee e Galah – fornendo chiavi essenziali per comprendere le differenze nei dati raccolti», conclude Cristallo. «Questi dati fisici di alta precisione, come la sezione d’urto appena misurata, sono utilissimi per minimizzare le incertezze presenti nei calcoli teorici stellari e potrebbero essere utilizzati come “cartina di tornasole” per identificare i dati spettroscopici migliori».
Fonte: Media INAF