Benché si tratti di oggetti dalle luminosità prodigiose, i quasar, ovvero buchi neri in accrescimento che sprigionano un’immensa quantità di energia e rientrano nella più vasta famiglia dei nuclei galattici attivi (Agn), possono talvolta eludere le osservazioni dei più potenti telescopi. Stando alle teorie più accreditate, il disco di materiale che alimenta il buco nero è circondato da una struttura toroidale, denominata “toro oscurante”, che può esercitare un ruolo cruciale nell’occultare la radiazione emessa dal disco di accrescimento. I fotoni prodotti dal disco che intercettano il toro possono essere infatti assorbiti da questa struttura, che talvolta raggiunge densità talmente elevate che solo i fotoni più energetici – che emettono tipicamente nella banda X – riescono a trapassare tali muri polverosi e a essere rivelati dai nostri strumenti.
Un nuovo studio ritiene però che questa sia solo una parte della storia. Pare infatti che un contributo sostanziale all’oscuramento dei quasar sia fornito dai gas e dalle polveri delle galassie che li ospitano. Si tratterebbe dunque di un oscuramento che avviene su scale spaziali decisamente più elevate rispetto a quella del toro oscurante.
Lo studio è stato guidato da Carolina Andonie, studentessa di dottorato presso l’Università di Durham (Regno Unito), ed è stato pubblicato il mese scorso su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Gli autori si sono avvalsi dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (Alma) e hanno esaminato i dati di oltre cinquecento quasar particolarmente brillanti nell’infrarosso, regione dello spettro elettromagnetico particolarmente sensibile all’emissione della polvere. In particolare, i ricercatori si sono concentrati sulle cosiddette galassie starburst, ovvero galassie compatte che stanno sperimentando episodi di formazione stellare particolarmente intensi, generando circa mille stelle l’anno di massa confrontabile a quella del Sole – per fare un confronto, la Via Lattea genera circa una o due stelle l’anno di questa stazza. Per produrre un numero di stelle così elevato, è necessario che tali rocambolesche galassie letteralmente trabocchino di gas e polveri, i quali costituiscono gli ingredienti primari per la formazione stellare. Il gas e le polveri smossi dalle stelle in formazione si addenserebbero, costituendo di fatto delle barriere invalicabili anche per la luce emessa dai quasar più brillanti.
«È come se il quasar fosse sepolto nella galassia che lo ospita», afferma Andonie. «In alcuni casi, la galassia è così ricolma di gas e polveri che neppure i raggi X riescono a fuoriuscire».
Fra gli autori dello studio figura anche Iván E. López, studente di dottorato presso l’Università di Bologna e associato Inaf. «I modelli elaborati negli anni ‘90», dice López a Media Inaf, «ritengono che l’orientazione degli Agn rispetto a noi giochi un ruolo fondamentale nell’oscuramento della radiazione da parte del toro. Tuttavia, per alcuni oggetti queste teorie stanno incontrando delle grosse difficoltà interpretative. Sembra infatti che sia il mezzo interstellare che l’attività di formazione stellare in una galassia possano giocare un ruolo decisivo nell’oscuramento.»
Il team stima che nel 10-30 per cento dei quasar ospitati da galassie starburst le fitte nubi di gas e polvere, presenti in questi sistemi, siano le responsabili esclusive dell’oscuramento. Si pensa che tutto ciò accada in un periodo transitorio dell’evoluzione dei quasar e delle galassie ospitanti. In particolare, si tratterebbe di una delle prime fasi evolutive di questi oggetti, in cui enormi quantità di gas vengono convertite in stelle e allo stesso tempo alimentano la crescita del buco nero centrale.
«Alla fine di questo processo», aggiunge López, «il buco nero centrale, tramite un meccanismo di feedback, “ripulisce” l’ambiente circostante, espellendo nubi di gas e polvere, e il quasar diventa visibile. È un puzzle affascinante, e ora abbiamo una pista in più sulla fase più giovane dei quasar».
Lo studio di questi quasar così elusivi sarà molto utile ai ricercatori per chiarire ulteriormente le connessioni fra le galassie e i buchi neri supermassicci che dimorano nelle loro regioni nucleari.
Fonte: Media INAF