I buchi neri supermassicci (Smbh, dall’inglese supermassive black holes) sono tra gli oggetti più affascinanti dell’universo, possono raggiungere masse che variano da milioni fino a miliardi di masse solari e si ritiene che ce ne sia uno nel cuore di ogni galassia. Ma non si comportano tutti allo stesso modo: alcuni di loro, quelli attivi, crescono rapidamente inghiottendo enormi quantità di materia. Questi oggetti prendono il nome di quasar e rientrano tra le sorgenti più luminose del cosmo.
Alcuni di questi voraci quasar stanno dando agli astronomi filo da torcere. «Sembrano essere eccessivamente massicci, considerando l’età dell’universo al momento della loro osservazione. Li chiamiamo quasar problematici», dice Jorryt Matthee dell’Istituto austriaco di scienza e tecnologia (Ista). «Se consideriamo che i quasar hanno origine dalle esplosioni delle stelle massicce e che, grazie alle leggi della fisica, conosciamo il loro tasso di crescita massimo, alcuni di essi sembrano essere cresciuti più rapidamente di quanto sia possibile. È come guardare un bambino di cinque anni che è alto due metri. Qualcosa non quadra».
È dunque possibile che i buchi neri supermassicci crescano ancora più velocemente di quanto si pensi? O che si formino in modo diverso da quello ipotizzato? La risposta a queste domande potrebbe arrivare anche grazie alla scoperta che Matthee e colleghi hanno pubblicato hanno pubblicato la settimana scorsa su The Astrophysical Journal: il team di astronomi ha infatti identificato, avvalendosi del James Webb Space Telescope (Jwst), un gruppo di oggetti che appaiono come dei piccoli puntini rossi, riuscendo a dimostrare che sono appunto dei buchi neri “supermassicci ma non troppo”.
«Mentre i quasar problematici sono blu, estremamente luminosi e raggiungono miliardi di volte la massa del Sole», spiega Matthee, «i piccoli punti rossi sono più simili a baby quasar. Le loro masse si collocano tra dieci e cento milioni di masse solari, e appaiono rossi perché sono pieni di polvere». Ma anche questi quasar “neonati” evolveranno in giganti, pertanto gli astrofisici dell’Ista suggeriscono che i puntini rossi osservati con Webb siano, appunto, versioni su piccola scala dei giganteschi buchi neri supermassicci blu, colti in una fase precedente a quella dei quasar problematici. «Studiare in dettaglio versioni “neonate” dei buchi neri supermassicci», continua l’astronomo, «ci permetterà di comprendere meglio come sia possibile l’esistenza dei quasar problematici».
Matthee e il suo team hanno potuto trovare questi baby quasar grazie ai dati raccolti da Eiger e Fresco, due programmi osservativi di Jwst. «Eiger è stato progettato specificamente per studiare i rari quasar supermassicci blu, e non per trovare questi piccoli punti rossi», ricorda Matthee. «Li abbiamo trovati per caso nello stesso set di dati. Ciò è dovuto al fatto che, utilizzando la fotocamera nel vicino infrarosso del Jwst, Eiger acquisisce gli spettri di emissione di qualunque oggetto». Fondamentale per determinare che questi puntini rossi sono buchi neri supermassicci è stato il rilevamento della riga di emissione spettrale dell’Hα e del suo profilo. La righe dell’idrogeno Hα appartengono alla regione rossa della luce visibile e la loro larghezza è legata al moto del gas. «Più ampia è la base delle righe di Hα, maggiore è la velocità del gas», spiega infatti il primo autore dell’articolo. «Pertanto, questi spettri ci dicono che stiamo osservando una nuvola di gas molto piccola che si muove rapidamente e orbita attorno a qualcosa di molto massiccio come, appunto, un Smbh».
Il lavoro di Matthee e del suo team non si ferma qui: poco prima della pubblicazione del loro articolo, il Space Telescope Science Institute (Stsci) ha infatti annunciato i nuovi programmi di osservazione selezionati per il terzo anno di operazioni scientifiche di Jwst, e tra questi c’è anche una proposta dell’astronomo dell’Ista – “Dissecting Little Red Dots: il legame tra la crescita precoce dei buchi neri supermassicci e la reionizzazione cosmica” – dedicata, appunto, ai baby quasar dalle sembianze di puntini rossi.
Fonte: Media INAF