Quanta strada occorre fare, per incontrare un buco nero? Fino alla primavera scorsa la risposta sarebbe stata: 1600 anni luce. Tanto infatti dista dalla Terra Gaia BH1, il buco nero più vicino al Sistema solare. Ora, però, uno studio guidato da un ricercatore postdoc dell’Università di Padova, Stefano Torniamenti, e pubblicato a fine giugno su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, potrebbe portare a una riduzione drastica di questa distanza: i primi buchi neri che s’incontrano sarebbero oltre dieci volte più vicini, ad “appena” 150 anni luce da noi, in direzione della costellazione del Toro.
L’indirizzo esatto è: ammasso delle Iadi. Un ammasso aperto, vale a dire un gruppo di centinaia di stelle gravitazionalmente legate tra loro – per quanto in modo blando – che, avendo avuto origine dalla stessa nube molecolare, condividono alcune proprietà, come l’età e le caratteristiche chimiche. Certo, sarebbe prematuro mettersi in viaggio: ancora non c’è certezza della presenza di questi buchi neri. Ci sono però forti indizi, emersi da una serie di simulazioni condotte da Tornamienti mentre si trovava all’Istituto di scienze del cosmo dell’Università di Barcellona (Iccub).
Tornamienti e il suo gruppo hanno anzitutto messo a punto una serie di cosiddette simulazioni N-body per tracciare il moto e l’evoluzione di tutte le stelle delle Iadi. Poi hanno provato a variarne i parametri per cercare la corrispondenza migliore con le osservazioni disponibili, in particolare quelle ottenute dal satellite Gaia dell’Agenzia spaziale europea. Ed è emersa la sorpresa. «Affinché ci sia corrispondenza fra i risultati delle nostre simulazioni e le misure di massa e dimensioni dell’ammasso delle Iadi», spiega Torniamenti, «è necessario che al centro dell’ammasso ci siano – o ci siano stati fino a poco tempo fa – alcuni buchi neri»
Più precisamente, le proprietà delle Iadi osservate da Gaia sono riprodotte da simulazioni che prevedono la presenza nell’ammasso di due o tre buchi neri. Si ottiene una buona corrispondenza, va detto, anche se questi buchi neri fossero stati tutti espulsi dall’ammasso in tempi “recenti”, astronomicamente parlando: meno di 150 milioni di anni fa, dunque all’incirca nel corso dell’ultimo quarto di vita dell’ammasso stesso. In ogni caso, parliamo di buchi neri che hanno avuto origine nelle Iadi, dunque che si trovano ancora all’interno dell’ammasso o a esso molto vicini. Di conseguenza, i più vicini a noi fra tutti quelli conosciuti.
Potremo mai vederli, così da avere la certezza della loro presenza? «Attualmente risulta difficile dire se potremo “vedere” questi buchi neri», dice Tornamienti a Media Inaf. «Le interazioni gravitazionali nell’ammasso possono portare alla formazione di sistemi binari in cui una stella orbita intorno al buco nero, rendendolo quindi osservabile dal moto della stella compagna. Tuttavia, la ricerca di oggetti di questo tipo non ha finora portato a risultati nelle Iadi, probabilmente a causa dei periodi orbitali troppo lunghi. Nuove osservazioni e nuove idee su come sfruttarle saranno probabilmente necessarie per confermare in modo ancora più diretto l’esistenza di questi buchi neri».
Fonte: Media INAF