Il satellite dell’Esa Cheops è riuscito a risolvere il mistero di un sistema di esopianeti che da anni lasciava perplessi gli astronomi. Un sistema con al centro la stella Hd 110067, a circa cento anni luce di distanza da noi, nella costellazione della Chioma di Berenice, situata nell’emisfero boreale.
Già nel 2020 il telescopio spaziale Tess della Nasa aveva registrato dei cali di luminosità della stella, indicando il passaggio di pianeti davanti alla sua superficie. Da un’analisi preliminare, i possibili pianeti erano risultati due: uno con un periodo orbitale – il tempo necessario per completare un’orbita intorno alla stella – di 5,642 giorni, e l’altro con un periodo che non era stato possibile determinare. Due anni più tardi, Tess ha osservato nuovamente la stessa stella. L’analisi dei dati combinati ha portato all’esclusione della prima interpretazione, proponendo due nuovi possibili pianeti. Tuttavia, nonostante la nuova analisi fosse molto più attendibile di quella originale, i dati di Tess continuavano a non avere senso.
È per questo motivo che Rafael Luque dell’Università di Chicago e i suoi colleghi si sono incuriositi. «È stato allora che abbiamo deciso di usare Cheops», ricorda Luque. «Siamo andati a pescare segnali tra tutti i potenziali periodi orbitali che quei pianeti potevano avere».
I loro sforzi sono stati ripagati. Grazie ai dati Cheops, Luque e colleghi non solo hanno confermato la presenza di un terzo pianeta ma hanno anche trovato la chiave per svelare l’intero sistema planetario, visto che i tre pianeti erano in risonanza orbitale tra di loro. Il pianeta più esterno, per compiere una rivoluzione, impiega 20,519 giorni: un valore che si avvicina molto a 1,5 volte il periodo orbitale del pianeta accanto, 13,673 giorni. A sua volta, questo periodo è quasi esattamente 1,5 volte il periodo orbitale del pianeta più interno, pari a 9,114 giorni.
La previsione delle altre risonanze orbitali e la loro corrispondenza con i dati rimanenti non ancora spiegati ha permesso al team di scoprire gli altri tre pianeti del sistema. «Cheops ha fatto emergere questa configurazione di risonanza», spiega Luque, «che ci ha permesso di prevedere tutti gli altri periodi. Senza questo risultato da parte di Cheops, sarebbe stato impossibile».
I sistemi in risonanza orbitale sono estremamente importanti, perché forniscono agli astronomi informazioni sulla nascita e sulla successiva evoluzione di un sistema planetario. I pianeti intorno alle stelle tendono infatti a formarsi in condizioni di risonanza. Tuttavia, la loro orbita può essere facilmente perturbata, per esempio a causa di un pianeta molto massiccio, o di un incontro ravvicinato con una stella di passaggio, o ancora di un gigantesco evento di impatto. Di conseguenza, molti dei sistemi planetari multipli oggi conosciuti non sono in perfetta risonanza, ma sono talmente vicini a questa condizione da far pensare di esserlo stato in passato. A ogni modo, i sistemi planetari multipli che conservano intatta la loro risonanza sono davvero rari. «Riteniamo che solo l’un per cento di tutti i sistemi rimanga in risonanza», dice Loque, osservando come proprio per questo motivo Hd 110067 è speciale e merita ulteriori studi. «Ci mostra la configurazione originaria di un sistema planetario che è rimasto intatto».
Non è la prima volta che Cheops gioca un ruolo primario nello studio di sistemi planetari in risonanza: già era stato determinante nella scoperta di Toi-178. «La scoperta di questo secondo sistema di sei pianeti in risonanza», commenta il direttore dell’Inaf di Padova Roberto Ragazzoni, instrument scientist del telescopio di Cheops nonché membro del team scientifico della missione, «dimostra come la precisione fotometrica di Cheops rimanga superba a distanza di 4 anni dal lancio e della bontà della scelta da parte di Esa di estendere la durata della missione. Nel giro di poco più di un mese, 19 osservazioni di questo satellite, mirate in periodi scelti con accortezza, hanno consentito di contribuire in modo determinante alla soluzione di questo sistema planetario. Il rebus (si è potuto capire a posteriori) era anche dovuto al fatto che Tess non era riuscito a raccogliere alcuni transiti a causa dell’effetto della diffusione dovuto alla luce della Terra. In Cheops, questo effetto è mitigato grazie al lunghissimo paraluce che ha costretto a realizzare un disegno ottico particolarmente compatto. Una scelta tecnica che ancora una volta ripaga degli sforzi fatti».
Tra i sistemi planetari che ospitano quattro o più pianeti, Hd 110067 è quello più luminoso. E poiché i suoi pianeti sono tutti di dimensioni sub-nettuniane con atmosfere probabilmente estese, sono i candidati ideali per studiare la composizione delle loro atmosfere con il telescopio spaziale James Webb e con i futuri telescopi dell’Esa Ariel e Plato.
Fonte: Media INAF