Un team guidato da Christine Chen, astronoma della Johns Hopkins University, ha rilevato dei cambiamenti nelle firme spettrali emesse dai granelli di polvere intorno a Beta Pictoris, un giovane sistema stellare non distante da noi. Confrontando le osservazioni recenti del Jwst con quelle fatte dallo Spitzer Space Telescope tra il 2004 e il 2005, gli autori dello studio sono riusciti a tracciare le differenze nella composizione e nella misura delle particelle di polvere presenti in una determinata regione a distanza di vent’anni. I risultati sono stati presentati la settimana scorsa al 244esimo meeting dell’American Astronomical Society a Madison, Wisconsin.
L’osservazione fa luce in particolare sui processi volatili che modellano i sistemi stellari come il nostro, offrendo una visione unica delle fasi primordiali della formazione planetaria.
«Beta Pictoris si trova in una fase evolutiva nella quale la formazione di pianeti terrestri avviene ancora tramite collisioni di asteroidi giganti, quindi quello che probabilmente abbiamo osservato è come pianeti rocciosi e altri corpi celesti si formano in tempo reale», spiega Chen.
Analizzando il segnale prodotto dal calore emesso dai silicati cristallini – minerali comunemente presenti intorno stelle giovani, così come sulla Terra e su altri corpi celesti – gli autori dello studio non hanno trovato alcuna traccia delle particelle la cui firma era stata osservata nel 2004-05. Questo suggerisce che quelle rilevate circa vent’anni fa da Spitzer siano le tracce di una collisione cataclismica tra asteroidi e altri oggetti che ha ridotto i corpi in particelle di polvere finissima, più del polline o dello zucchero a velo.
I nuovi dati suggeriscono che la polvere sia poi stata dispersa verso l’esterno dalla radiazione della stella al centro del sistema, e non sia dunque più rilevabile. Inizialmente, la polvere vicina alla stella si è scaldata, emettendo radiazione termica – quella identificata, appunto, dagli strumenti di Spitzer. Successivamente la polvere si è raffreddata a causa dell’allontanamento dalla stella, e dunque non emette più radiazione termica. «Questa è la migliore spiegazione che abbiamo», dice Chen. «Abbiamo assistito alle conseguenze di un evento cataclismico, poco frequente tra corpi di grandi dimensioni».
«La maggior parte delle scoperte di Jwst vengono da cose che il telescopio ha identificato direttamente», aggiunge una coautrice dello studio, Cicero Lu, ex dottoranda in astrofisica alla Johns Hopkins. «In questo caso, la storia è un po’ diversa perché i risultati sono emersi da qualcosa che il telescopio non ha visto».
Beta Pictoris, a circa 63 anni luce dalla Terra, è da tempo al centro dell’attenzione degli astronomi, sia a causa dalla sua relativa vicinanza sia per i processi casuali in atto, dove collisioni, clima e altri fattori sulla formazione planetaria detteranno il futuro del sistema. Avendo appena 20 milioni di anni, ed essendo dunque giovanissimo rispetto ai 4.5 miliardi di anni del Sistema solare, Beta Pictorisha un’età chiave, nella quale i pianeti giganti si sono già formati, mentre quelli di tipo terrestre potrebbero essere ancora in fase formazione. Il sistema ha almeno due giganti gassosi conosciuti, Beta Pic b e Beta Pic c, che a loro volta influenzano i detriti e le polveri circostanti.
Quando Spitzer acquisì i primi dati, gli scienziati ipotizzarono che i corpi più piccoli, frantumandosi, avrebbero prodotto polvere costantemente nel tempo. Ma le nuove osservazioni di Webb hanno mostrato che la polvere è scomparsa senza essere rimpiazzata. La quantità di polvere sollevata, secondo le stime di Chen, è pari a circa 100mila volte quella che formava l’asteroide responsabile dell‘estinzione dei dinosauri.
I nuovi risultati mostrano l’ineguagliabile capacità del telescopio Webb di svelare la complessità degli esopianeti e dei sistemi stellari, sottolineano gli autori dello studio, e offrono indizi fondamentali su come l’architettura degli altri sistemi planetari possa somigliare al nostro. «Il problema che stiamo cercando di contestualizzare è se questo intero processo di formazione di pianeti terrestri e giganti sia comune o raro, e la domanda ancora più fondamentale è: i sistemi planetari come il Sistema solare sono così rari?», dice a questo proposito un altro coautore dello studio, Kadin Worthen, dottorando in astrofisica alla Johns Hopkins. «In pratica stiamo cercando di capire quanto siamo strani o normali».
Fonte: Media INAF