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Così prendono forma i pianeti senza stella

Li chiamano oggetti rogue, termine inglese che può significare sia ribaldo, canaglia sia isolato, solitario. E in effetti si tratta di pianeti – o meglio, di oggetti di massa planetaria, nome in codice Pmo (planetary-mass objects) – che più asociali non si può: vagano per la galassia senza alcuna stella attorno alla quale orbitare. Sulle loro origini è mistero fitto, ma ora un team d’astronomi guidato da Deng Hongping dello Shanghai Astronomical Observatory (Cina), utilizzando simulazioni avanzate, ha mostrato un possibile processo di formazione per questi enigmatici oggetti, basato sulle interazioni tra dischi interstellari nei giovani ammassi di stelle. Il risultato è stato pubblicato il mese scorso su Science Advances.

Pur avendo origini oscure, l’esistenza dei Pmo è ben nota. Si tratta di corpi celesti spesso osservati in giovani ammassi stellari, come quello del Trapezio nella costellazione di Orione. Sono oggetti con masse inferiori a tredici volte quella di Giove che vagano liberamente nello spazio, non essendo legati, appunto, ad alcuna stella. Precedenti teorie riguardo la loro origine affermavano che i Pmo potessero essere nane brune o pianeti eiettati dal proprio sistema solare, ma questi modelli non riescono a spiegare il loro grande numero, il fatto che vengano frequentemente osservati in accoppiamenti binari e il loro moto sincronizzato con le stelle all’interno dell’ammasso.

«I Pmo non si lasciano incasellare in alcuna categoria esistente di stelle o pianeti», osserva Deng. «Le nostre simulazioni mostrano che probabilmente si formano attraverso un processo completamente diverso, legato alle dinamiche caotiche dei giovani ammassi stellari».

Usando simulazioni idrodinamiche ad alta risoluzione i ricercatori hanno ricreato gli incontri ravvicinati tra due dischi circumstellari, le corone rotanti di gas e polvere che circondano le giovani stelle. Quando i dischi collidono – avvicinandosi, a velocità di 2-3 km/s, fino a distanze di 300-400 unità astronomiche – le loro interazioni gravitazionali stirano e comprimono il gas in “ponti mareali” elongati. Questi ponti collassano in densi filamenti destinati a frammentarsi in nuclei compatti una volta raggiunta una massa critica, producendo Pmo con masse circa dieci volte quella gioviana.

Lo studio ha mostrato che fino al 14 per cento degli oggetti di massa planetaria si forma in coppie o triplette, con una separazione tra le 7 e 15 unità astronomiche, spiegando così l’elevato tasso di Pmo binari in alcuni ammassi. Negli ambienti densi degli ammassi, inoltre, gli incontri fra dischi circumstellari sono frequenti, dunque possono arrivare a generare centinaia di Pmo, e questo contribuisce a giustificare il grande numero osservato di questi oggetti.

Oltre a suggerire una nuova ipotesi riguardo la nascita di questi strani corpi celesti, la ricerca ha dato un’interpretazione alla particolare composizione chimica dei Pmo. Essi, infatti, ereditano materiale dalle regioni più esterne dei dischi circumstellari, finendo così per avere una composizione unica, che riflette quella delle zone periferiche povere di metalli dei dischi, dove gli elementi pesanti sono scarsi. È stato inoltre osservato che molti Pmo sono circondati da dischi gassosi, fino a 200 unità astronomiche di diametro, suggerendo la possibilità che attorno a questi oggetti ribelli possano formarsi lune o addirittura pianeti.

«La scoperta ridisegna in parte il modo in cui concepiamo la diversità cosmica», dice uno dei coautori dello studio, Lucio Mayer dell’Università di Zurigo. «I Pmo potrebbero rappresentare una terza classe di oggetti, nati non dalla materia prima delle nubi di formazione stellare o da processi di costruzione planetaria, ma piuttosto dal caos gravitazionale delle collisioni dei dischi».

 

Fonte: Media INAF

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