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Costante di Hubble sotto la lente d’una supernova

Sono poche le cose certe della vita. Una di queste, salvo prova contraria, è che l’universo si sta espandendo. La domanda però è: con quale velocità lo sta facendo? Il valore della costante di Hubble, uno dei termini dell’equazione nota come legge di Hubble-Lemaître, ci dà una stima di questa velocità. Per calcolare questo numero – espresso in chilometri al secondo per megaparsec (km/s/Mpc) – gli astronomi si avvalgono principalmente di due metodi. Il primo utilizza la cosiddetta scala delle distanze cosmiche, e consiste nell’osservazione di sorgenti come le variabili cefeidi e, per distanze maggiori, le esplosioni di supernove. Il secondo utilizza invece parametri cosmologici, e in particolare la misura delle anisotropie del fondo cosmico a microonde, la radiazione fossile dell’universo.

C’è però un problema. I valori stimati attraverso questi due metodi non coincidono: abbiamo 73,0 km/s/Mpc nel primo caso e 67,4 km/s/Mpc nel secondo. La differenza tra i valori ottenuti con i due metodi è di 5,6 km/s/Mpc: una discrepanza che va ben oltre i margini di errore delle due misure, e che gli astronomi chiamano “tensione di Hubble”.

Un modo per cercare di comprendere quale dei due sia il valore “giusto” è quello di ricorrere ad altri metodi di misura indipendenti e confrontare i risultati. È ciò che ha fatto un team di ricercatori guidati dall’Università del Minnesota (Usa) in un recente studio, ottenendo un numero che è più vicino alla misurazione basata sui parametri cosmologici. I risultati della ricerca sono riportati in due articoli scientifici pubblicati la settimana scorsa rispettivamente su Science e The Astrophysical Journal.

«La grande domanda è se c’è un qualche problema con una o entrambe le misurazioni della costante di Hubble», dice Patrick Kelly, ricercatore al Minnesota Institute for Astrophysics e primo autore di entrambi gli articoli. «La nostra ricerca affronta questo problema utilizzando un metodo per misurare il tasso di espansione dell’universo indipendente e completamente diverso». Il metodo utilizzato è quello della time-delay cosmography (cosmografia con tempi di ritardo). Non si tratta di una tecnica nuova: il fenomeno fisico su cui si basa è quello noto delle lenti gravitazionali ed è già stato applicato ai quasar. Ma questa è la prima volta in cui viene applicato a un’altra sorgente variabile: una supernova.

La supernova in questione è conosciuta con il nome di Sn Refsdal. È stata osservata l’11 novembre 2014 a oltre nove miliardi di anni luce da noi da un team internazionale di astronomi guidato dallo stesso Kelly. Ed è la prima supernova ad essere stata scoperta attraverso l’effetto lente gravitazionale, un fenomeno che ha permesso di osservare l’evento a tempi diversi e in quattro posizioni diverse del cielo a causa della gravità di Macs J1149.6+2223, un gigantesco ammasso di galassie frapposto fra noi e la supernova. Quello che è successo è che il campo gravitazionale dell’ammasso di galassie ha deviato parte della luce prodotta dall’esplosione, che è arrivata sulla Terra attraverso percorsi e tempi diversi, producendo così quattro diverse immagini della stessa supernova. Utilizzando i ritardi temporali tra due “apparizioni” della supernova, quella del 2014 e del 2015, i ricercatori sono stati in grado di ottenere una stima del valore della costante di Hubble.

Il numero emerso dallo studio è 66.6 (+ 4.1/- 3.3) km/s/Mpc: un valore molto vicino a quello calcolato utilizzando il fondo cosmico a microonde. Usando gli stessi dati, inoltre, i ricercatori hanno scoperto che alcuni modelli sulla materia oscura negli ammassi di galassie sono maggiormente in accordo con le osservazioni rispetto ad altri. Ciò ha permesso di determinare i modelli più accurati per spiegare la localizzazione di questa sfuggente materia nell’ammasso di galassie.

«La nostra misurazione è in miglior accordo con il valore ottenuto dalle misure della radiazione cosmica di fondo a microonde», conferma Kelly, «anche se non possiamo escludere la bontà del valore misurato con la scala delle distanze cosmiche. Se le osservazioni di future supernove che subiscono l’effetto lente gravitazionale da parte di ammassi di galassie producessero risultati simili, ciò potrebbe significare due cose: o che c’è un problema con quest’ultimo metodo, o che c’è un problema che riguarda la nostra comprensione circa la materia oscura negli ammassi di galassie».

La metodologia che prevede di impiegare le immagini multiple di un’esplosione di supernova per stimare il tasso di espansione dell’universo è stata proposta nel 1964 dall’astronomo norvegese Sjur Refsdal, ma fino ad ora non era mai stata utilizzata. Con la scoperta della supernova Refsdal ciò è stato finalmente possibile.

«È la prima volta che mettiamo in pratica questo metodo, che prevede l’utilizzo di una supernova “lensata” per misurare la costante di Hubble. E lo facciamo nel caso più difficile, quello in cui la lente è un ammasso di galassie», spiega a Media Inaf uno dei coautori dei due studi, l’astrofisico Tommaso Treu, ricercatore italiano oggi all’Università della California a Los Angeles (Ucla) e tra gli autori della scoperta della supernova. «È importante sottolineare che la misura è stata fatta in maniera completamente cieca, cioè abbiamo completato l’analisi senza conoscere la costante di Hubble, svelandone il valore della misura solo alla fine. Questo è un accorgimento che abbiamo preso per evitare il cosiddetto “effetto sperimentatore” (experimenter bias), che può distorcere il risultato finale».

«Al momento attuale la precisione della misura che abbiamo fatto non è sufficiente per risolvere la “tensione di Hubble”» conclude Treu. «Ma la scoperta di altre supernove soggette a lente gravitazionale, ad esempio da parte delle missioni Euclid e Lsst, permetterà di ridurre l’incertezza».

 

Fonte: Media INAF

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