Il 15 marzo 2024, lo strumento Wxt a bordo della missione Einstein Probe ha rilevato un’esplosione di raggi X a bassa energia. Gli astronomi definiscono questi raggi X “morbidi”, anche se sono molto più energetici della luce visibile o ultravioletta. L’esplosione è durata più di 17 minuti e, prima di scomparire, ha “sfarfallato” in luminosità. Un evento del genere è noto come transiente veloce di raggi X (Fxrt, dall’inglese fast X-ray transient) e a questo particolare transiente è stata data la designazione Ep240315a.
Circa un’ora dopo l’osservazione dell’emissione X, un telescopio in Sudafrica – nell’ambito del progetto Atlas, Asteroid Terrestrial-Impact Last Alert System – ha rilevato luce visibile provenire dalla stessa direzione. Le osservazioni successive del telescopio Gemini-North alle Hawaii e del Very Large Telescope in Cile hanno fornito misure di redshift che hanno confermato che il burst proveniva da circa 12,5 miliardi di anni luce di distanza, iniziando il suo viaggio cosmico verso di noi quando l’universo aveva appena il 10 percento della sua età attuale. Si è trattato della prima volta che sono stati rilevati raggi X morbidi per una durata così lunga da un’esplosione così antica.
La rapida individuazione di Ep240315a ha permesso al team di collaborare con Roberto Ricci dell’Università di Roma Tor Vergata, associato all’Inaf, di osservare il burst a lunghezze d’onda radio utilizzando l’Australian Telescope Compact Array (Atca). Monitorandolo per tre mesi, hanno stabilito che l’energia emessa era coerente con un tipico gamma-ray burst (Grb). Da analisi successive è emerso che i raggi X coincidono effettivamente con un gamma-ray burst noto come Grb 240315C. Questo burst era stato osservato dallo strumento Burst Alert Telescope (Bat) a bordo del satellite Swift della Nasa e dallo strumento Konus della Federazione Russa sulla sonda Wind della Nasa.
«Questi risultati dimostrano che un gran numero di Fxrt è associato a Grb e che i più avanzati telescopi a raggi X come Einstein Probe, e in futuro Theseus, possono individuarli in galassie remote, spingendosi fino agli albori dell’universo», commenta Ricci. «Combinando la potenza delle osservazioni a raggi X con quelle radio, abbiamo a disposizione un nuovo modo per esplorare queste potenti esplosioni cosmiche, anche senza rilevarne i raggi gamma».
Tuttavia, c’è un mistero da risolvere. Sebbene i Grb siano associati ai raggi X, Ep240315a è diverso. Di solito i raggi X precedono i raggi gamma di poche decine di secondi, ma Ep240315a è stato osservato più di sei minuti (372 secondi) prima di Grb 240315C: un ritardo così lungo non era mai stato osservato prima.
Se a questo si aggiunge la durata inaspettatamente lunga dell’emissione X, si deduce che non è ancora chiaro come esplodono i Grb. Il tempo e l’aumento dei dati disponibili sicuramente contribuiranno a migliorare la comprensione di questi fenomeni cosmici. Sebbene le missioni precedenti siano state in grado di rilevare i raggi X morbidi, la sensibilità e il campo visivo superiori di Einstein Probe hanno aperto di molto questa interessante finestra.
Fonte: Media INAF