Un team di scienziati del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics (Mpe) ha fatto luce su una delle componenti più sfuggenti dell’universo: il mezzo intergalattico tiepido-caldo, o Whim. Questa forma “fantasma” di materia ordinaria, ipotizzata da tempo ma rilevata raramente, si ritiene rappresenti una parte significativa dei barioni mancanti nell’universo – la materia che compone stelle, pianeti e galassie.
Guidato da Xiaoyuan Zhang di Mpe, il team ha rivelato l’esistenza di regioni ad alta temperatura e alta densità del mezzo intergalattico utilizzando i dati della eRosita All-Sky Survey (eRass). Nel corso di due anni, eRosita, un potente telescopio a raggi X a bordo della sonda Spektr-RG, ha osservato una debole emissione di raggi X provenienti dal Whim. Per amplificare questi deboli segnali, i ricercatori hanno utilizzato una tecnica nota come stacking, analizzando i dati dei raggi X in corrispondenza di oltre 7mila filamenti cosmici identificati attraverso la Sloan Digital Sky Survey (Sdss) ottica.
«Il Whim, o warm-hot intergalactic medium, è una componente fondamentale del cosmic web, ovvero la struttura a ragnatela che forma il nostro universo. Ha una temperatura che le simulazioni ci dicono essere sui 106 – 107 Kelvin e una densità assai bassa, poco più della densità media dell’universo», spiega a Media Inaf Vittorio Ghirardini di Inaf Oas Bologna, coautore dello studio. «Il nostro lavoro, guidato da Xiaoyuan, consiste nel cercare di ottenere una misura significativa dell’emissione del Whim con osservazioni in banda X. Osservare direttamente il Whim in emissione è possibile, ma richiede un tempo di esposizione molto lungo, quindi usiamo una strategia diversa: invece che osservare singoli filamenti per tanto tempo, sfruttiamo eRosita, grazie alle scansioni del cielo che ha fatto, e il catalogo di filamenti ottici da Sdss di Malavasi et al. 2020 per sommare il piccolo segnale da tanti filamenti (la procedura di stacking) così da aumentare il rapporto segnale rumore, in modo non solo da ottenere un segnale significativo, ma anche per essere in grado di misurare le sue caratteristiche fisiche, come densità e temperatura».
A causa della sua densità estremamente bassa (in media 10 particelle per metro cubo), il Whim è infatti notoriamente difficile da osservare. «Numerosi studi hanno tentato di rilevarlo utilizzando l’assorbimento dei raggi X, l’emissione attraverso i raggi X e l’effetto Sunyaev-Zeldovich. Sebbene alcuni abbiano dato risultati modestamente positivi, sono spesso messi in discussione a causa della potenziale contaminazione e delle incertezze sistematiche. Ora, con la eRosita All-Sky Survey che fornisce i più profondi dati a raggi X a tutto cielo, abbiamo un’opportunità unica di rilevare l’emissione Whim a raggi X associata a una struttura cosmica su larga scala», osserva Esra Bulbul di Mpe.
Come diceva Ghirardini, i filamenti cosmici – le strutture più grandi dell’universo – fanno parte dell’intricata rete del cosmic web, che collega galassie e ammassi di galassie. Fino a metà della materia dell’universo risiede nei filamenti, che occupano meno del 10 per cento del suo volume. A causa della loro geometria anisotropa e della bassa densità, i filamenti sono difficili da individuare in qualsiasi loro componente, come il gas o le galassie. «Il modo più immediato per raggiungere questo obiettivo è la distribuzione delle galassie. Una svolta si è avuta quando sono diventate accessibili le indagini spettroscopiche su larga scala, come la Sdss, e sono state abbinate a complessi algoritmi per individuare i filamenti. Questo è l’approccio che abbiamo seguito, che ci ha permesso di tracciare la posizione dei filamenti per poi consentire la loro analisi di stacking», spiega Nicola Malavasi di Mpe, che ha eseguito la ricerca dei filamenti. All’interno di questi filamenti risiede il Whim, questo gas diffuso che emette solo deboli raggi X, quasi impossibile da rilevare direttamente. Tuttavia, il sofisticato metodo di stacking del team ha permesso di ottenere un quadro più chiaro di questa emissione, rivelando la presenza di Whim e una misura della sua temperatura e densità media.
«Sorprendentemente, abbiamo avuto un forte rilevamento ai raggi X (9σ) della rete cosmica. Ma non poteva finire lì. Dovevamo anche modellare attentamente la contaminazione delle sorgenti galattiche non rilevate, che era la chiave per capire quanta parte del nostro segnale provenisse dal Whim», dice Zhang. Per questo lo studio introduce un metodo innovativo per stimare la contaminazione da aloni di raggi X non mascherati, nuclei galattici attivi e binarie X associate alle galassie nei filamenti. L’analisi ha rivelato una frazione di contaminazione del 40 per cento circa, indicando che circa il 60 per cento del segnale rilevato potrebbe provenire dal Whim, con una significatività di rilevamento di 5,4σ. Che non è poco.
Il team ha approfondito le proprietà del Whim, raccogliendo informazioni critiche sulla sua natura. I risultati della simulazione numerica indicano che il segnale a raggi X osservato proviene probabilmente da regioni con temperature dell’ordine di diversi milioni di Kelvin e densità di circa 100 particelle per metro cubo.
«I nostri nuovi risultati dimostrano l’immenso potenziale dei dati della survey di eRosita nel rilevare plasmi cosmici diffusi estremamente deboli», aggiunge Zhang. Il lavoro non solo conferma l’esistenza del Whim, ma apre anche nuove strade per studiare il ruolo di questi barioni fantasma nel modellare la struttura su larga scala dell’universo. Questa scoperta segna un significativo passo avanti nella comprensione della composizione dell’universo e della materia ordinaria nascosta che contribuisce a tessere la vasta rete cosmica.
«Nei prossimi anni, le nuove indagini spettroscopiche su larga scala sulle galassie, come Desi e 4most, forniranno mappe di galassie e filamenti più ampie e dettagliate. La sovrapposizione molto più ampia di queste indagini con i dati all-sky di eRosita garantirà un’analisi più raffinata dei dati stacked X-ray e porterà alla luce nuove informazioni sullo stato fisico del Whim», conclude Andrea Merloni, Principal Investigator di eRosita all’Mpe.
Fonte: Media INAF