Immaginate di dover descrivere il processo di nascita e crescita di un essere umano avendo a disposizione una serie di fotografie di persone diverse in varie fasi della loro vita; e, non solo di doverle mettere in ordine, ma di dover capire quanto tempo passa da una fase alla successiva: quanto dura l’infanzia, quando si interrompe il processo di crescita, quando comincia l’invecchiamento. Ora, al posto di una persona mettete un sistema planetario, diciamo pure il Sistema solare, e provate a pensare di ricostruirne la nascita ed evoluzione guardando cento, mille altri sistemi – diversi – e in diverse fasi evolutive. Ecco, più o meno così lavorano gli astronomi. Grazie a immagini e spettri raccolti con lo strumento Miri, il Jwst ha colto alcune caratteristiche in “rapida” evoluzione di un sistema planetario in formazione, consentendo di stimare quanto tempo passerà prima che si esaurisca il gas sul disco e acquisti sembianze simili al Sistema solare. L’articolo è stato pubblicato su The Astronomical Journal.
Proviamo a costruire la storia di formazione di un sistema planetario dall’inizio. Tutto comincia con un’enorme sfera di gas e polvere, che collassa per formare una stella al centro e un disco di gas e polvere intorno ad essa. Con il tempo, le piccole particelle di polvere si uniscono in coaguli solidi più grandi, fino a formare i nuclei dei pianeti o veri e propri pianeti rocciosi. Questi, a loro volta, risucchiano poi il gas circostante per formare l’atmosfera (come, ad esempio, la Terra) o fino a diventare pianeti giganti gassosi (come, ad esempio, Giove). Una volta formatisi, questi pianeti possono scavare dei varchi nel disco di polvere, poiché raccolgono tutte le particelle presenti sul loro cammino, o utilizzare il gas per migrare e avvicinarsi o allontanarsi dalla stella.
Il sistema planetario T Cha, nella costellazione del Camaleonte, era già stato osservato da Alma a lunghezze d’onda del millimetrico e sub-millimetrico e in infrarosso dal telescopio spaziale Spitzer. Le immagini di Alma avevano mostrato un grosso varco nel disco di polveri, a indicare il fatto che il sistema è ancora in formazione, ma in una fase già evoluta ed avanzata; le osservazioni di Spitzer, in combinazione con la spettroscopia ad alta risoluzione da terra, avevano invece identificato una presenza non trascurabile di gas Neon ionizzato, mostrando che questo si stava allontanando dal disco a una velocità di circa 10-15 km/s.
«Questi sono i motivi principali per i quali abbiamo voluto osservare T Cha con il telescopio spaziale Webb», dice a Media Inaf Naman Sushil Bajaj, dottorando di origini indiane della University of Arizona, e primo autore dello studio. «Webb per noi è fondamentale perché i suoi grandi specchi rendono facile la risoluzione delle strutture di gas; in particolare, l’emissione del Neon in lento movimento non è mai stata risolta prima perché solo questo grande telescopio spaziale è in grado di farlo. La struttura di emissione ci dice molto sulla provenienza di questo gas e su quanta massa si sta perdendo e, di conseguenza, su quanto tempo impiegherà il gas a scomparire definitivamente “congelando” anche la formazione dei pianeti».
Ricapitolando, il sistema T Cha, osservato con il telescopio spaziale Webb nel nuovo studio, ha già un grande spazio nel disco di polvere, circa 20 unità astronomiche, il che significa che probabilmente si sono formati dei pianeti. Anche il gas sta lasciando il sistema, il che significa che fra qualche tempo non ce ne sarà più a disposizione e, quindi, che i pianeti non potranno più aspirarne o usarlo per muoversi o aspirarne. Si tratta dunque dell’ultima fase della formazione di questo sistema planetario. Al termine di questa, rimarranno i pianeti e gli anelli di polvere come la fascia degli asteroidi e la fascia di Kuiper nel Sistema solare.
Rimangono due cose da chiarire, però. La prima, cosa stia spingendo via il gas. La seconda, quanto tempo resta prima che questo si esaurisca.
Per rispondere alla prima, gli scenari possibili sono due. Potrebbe trattarsi di un vento di fotoni stellari ad alta energia (una sorta di vento solare), oppure potrebbe essere il campo magnetico della stella che tesse il disco di formazione dei pianeti. In un secondo lavoro dello stesso gruppo di ricerca e che, stando a quanto riportato da Bajaj, uscirà fra una settimana circa, Andrew Sellek dell’Osservatorio di Leiden ha fatto delle simulazioni di entrambi gli scenari per confrontarle con quanto osservato nel sistema. Dalle osservazioni di Webb emerge che il gas viene lanciato da circa 1,3 unità astronomiche – circa la posizione della Terra rispetto al Sole nel disco del Sistema solare – e che la massa persa ogni anno è circa quella della Luna (circa un ottantesimo di quella della Terra). Secondo le simulazioni sarebbe un quadro compatibile con la teoria della fotoevaporazione, in cui l’energia proveniente dalla stella colpisce il gas nel disco e lo riscalda, aumentando le temperature fino a migliaia di gradi e causandone l’evaporazione nello spazio circostante. Il processo è simile a quando la luce solare colpisce l’acqua nell’oceano e l’acqua evapora nell’atmosfera, qui sulla Terra.
In quanto tempo si esaurirà, quindi, il gas?
«L’aspetto più interessante del nostro lavoro è che per la prima volta abbiamo fotografato un gas che si disperde», commenta Bajaj. «E considerando le stime della massa del gas presente nel disco, possiamo dire che tutto il gas sarà scomparso entro circa 100 mila anni. Un periodo davvero breve in termini astronomici».
Fonte: Media INAF