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Gaia18cjb, come te nessuna mai

Potrebbe essere la protagonista ideale d’un romanzo di formazione. È giovane, è inquieta, non si lascia incasellare. È pressoché unica. Si chiama Gaia18cjb. Abita a qualche migliaio d’anni luce da noi in direzione della costellazione dell’Unicorno. E diventerà una stella. Una stella singolare al punto – ha scoperto ora un team guidato da Eleonora Fiorellino, astronoma romana oggi all’Inaf di Napoli – da costringere gli scienziati a prendere in considerazione la possibilità di dover introdurre una nuova classe nella tassonomia di oggetti questo genere. Se non addirittura a ripensare da principio l’ancora enigmatico processo di formazione stellare, arrivando a ipotizzare che quella di Gaia18cjb non sia una classe, bensì una fase: un periodo, per quanto breve, che tutte le stelle, nel corso della loro più o meno tumultuosa adolescenza, si trovano ad attraversare.

E ‘tumultuose’ pare proprio essere un aggettivo appropriato, per queste imprevedibili stelle in formazione. Anzi, per distinguerle dalla grande maggioranza delle loro quiete e composte coetanee – le cosiddette stelle ad accrescimento steady – gli astronomi usano per Gaia18cjb e per le sue rare compagne il termine ‘eruttive’: eruptive young stars.

Quiete e meno quiete, sono tutte stelle non ancora mature, queste di cui parliamo. In gergo tecnico si definiscono pre-sequenza principale: stelle con temperature attorno al milione di gradi, dunque già in grado di bruciare deuterio ma ancora insufficienti a innescare la fusione dei normali nuclei d’idrogeno. Anche dal punto di vista “geometrico” s’assomigliano tutte: all’esterno c’è un guscio di polvere che alimenta, andando verso il centro, un cosiddetto disco d’accrescimento – proprio come quello che cinge i buchi neri, solo che qui non parliamo di stelle morte ma, appunto, di stelle ancora non del tutto sbocciate; e nel nucleo c’è la stella vera e propria, che si nutre di quel che il disco di accrescimento le fornisce.

Ebbene, la maggior parte delle stelle in formazione succhia materia dal disco in modo uniforme e lineare, crescendo senza particolari sobbalzi, un poco per volta, fino a raggiungere temperature adeguate alla fusione nucleare dell’idrogeno. Ma alcune – a oggi se ne conoscono appena una cinquantina – sembrano vivere la loro adolescenza, come dicevamo, in modo assai più burrascoso.

Una cinquantina, dicevamo. Pochissime, e questo a causa dell’enorme difficoltà di riconoscerle. In base al loro comportamento, gli astronomi le suddividono in due classi: le Exor e le Fuor. Le prime, dall’inglese Ex Lupi-type objects (prendono il nome da Ex Lupi, una stella della costellazione del Lupo), sono sì bulimiche ma con moderazione, potremmo dire. L’intemperanza del loro regime d’accrescimento – dunque del ritmo al quale si nutrono di materia – si riflette in variazioni della loro luminosità nell’ordine delle due magnitudini e su tempi scala relativamente brevi, da qualche giorno a qualche decina di anni. Nelle seconde invece – le Fuor, dall’inglese FU Orionis-type objects (il loro prototipo è la stella variabile Fu Orionis, nella costellazione di Orione) – la variazione è più alta rispetto alle Exor, arriva fino a quattro o più magnitudini, e anche i tempi scala del burst sono maggiori, dell’ordine di centinaia di anni (almeno). E a distinguerle non c’è solo l’andamento della curva di luminosità nel tempo – meno ripida e meno ampia per le Exor, più ripida e più ampia per le Fuor – ma anche gli spettri: le righe di transizione dell’idrogeno HI, per esempio, sono in emissione per le Exor e in assorbimento per le Fuor.

Insomma, due classi di stelle di pre-sequenza principale eruttive, ben distinte sia per l’aspetto – la curva di luce – che per la firma – lo spettro. E Gaia18cjb?

«Gaia18cjb è un ibrido. Ha la curva di luce di una Fuor e lo spettro di una Exor», spiega Fiorellino a Media Inaf. «Ce ne siamo accorti anzitutto usando un programma di machine learning – sviluppato all’Osservatorio ungherese di Konkoly, dove ho trascorso alcuni anni come ricercatrice postdoc – in grado di individuare, nel database di osservazioni del telescopio spaziale Gaia, gli oggetti giovani che abbiamo mostrato una variabilità fotometrica maggiore di due magnitudini, dunque oggetti potenzialmente eruttivi. Per verificare che fosse effettivamente questo il caso, quando Gaia18cjb è emersa fra i possibili candidati abbiamo fatto quel che si chiama in gergo follow-up spettroscopico. In particolare, abbiamo acquisito lo spettro della stella nel vicino infrarosso con gli strumenti Luci del Large Binocular Telescope (in Arizona), Sofi del New Technology Telescope (in Cile) ed Emir del Gran Telescopio Canarias (alle Canarie). E abbiamo avuto la conferma: Gaia18cjb si comporta come una Fuor, ma ha lo spettro tipico di una Exor».

Un rarissimo ibrido, dunque. Oltre a Gaia18cjb, di giovani stelle ad accrescimento eruttivo così riluttanti a ogni classificazione se ne conoscono a oggi due soltanto, V350Cep e V1647Ori. «Ma sono comunque diverse da Gaia18cjb», nota Fiorellino. «Diversa è la variabilità della loro curva di luce, diversa è l’intensità del tasso di accrescimento. E soprattutto abbiamo i loro dati solo per la banda ottica: ancora non sono state osservate nel vicino infrarosso».

«Grazie ai dati raccolti da Gaia stiamo scoprendo sempre più oggetti eruttivi. E iniziamo ad avere indizi della possibile esistenza di una nuova classe, oltre alle Exor e alle Fuor. Un’ibrida soltanto poteva essere il segno di qualcosa che non funzionava nei dati, vederne due pure, magari anche tre, ma stanno aumentando… Se davvero si trattasse di una nuova classe, questo ci porterebbe a porci nuove domande su come nascono le stelle. Ma la grande domanda è un’altra: tutti questi oggetti – le Fuor, le Exor, le ibride come Gaia18cjb – sono delle anomalie nel processo di formazione stellare o, al contrario, a un certo punto della fase iniziale della loro vita tutte le stelle attraversano una fase caratterizzata da fenomeni eruttivi intensi? Perché se fosse così», conclude Fiorellino, «allora vorrebbe dire che non ci abbiamo capito niente, che dobbiamo riconsiderare tutto da capo».

Domanda alla quale potrebbe arrivare una risposta a breve, una volta che entrerà in azione l’Extremely Large Telescope, unico in grado di studiare con sufficiente sensibilità le candidate più deboli individuate da Gaia.

 

Fonte: Media INAF

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