Per anni si è creduto che l’universo primordiale pullulasse di galassie irregolari. Questi oggetti dalla forma sgraziata si generano tipicamente durante un merger, ovvero la fusione fra due galassie dovuta alla reciproca attrazione gravitazionale. Eventi di questo tipo si credevano molto frequenti in passato, rendendo l’universo più antico un ambiente inospitale per le ordinate galassie a disco, disintegrate da queste violente collisioni. Nulla a che vedere insomma con il “placido” universo di oggi, popolato in larga parte da armoniose galassie a spirale e – in misura minore – da prominenti galassie ellittiche, e in cui solo uno scampolo di oggetti è costituito da galassie irregolari.
Uno studio pubblicato la scorsa settimana su The Astrophysical Journal smentisce completamente questo scenario. Pare infatti che l’universo nei suoi primi miliardi di anni sia stato un posto meno caotico di quanto si credesse in passato. La ricerca che ha portato a questa conclusione è stata condotta da un gruppo internazionale di astronomi, guidato da Leonardo Ferreira dell’Università di Victoria, in Canada. Avvalendosi di immagini catturate dal telescopio spaziale James Webb, il team di astronomi ha classificato la forma di quasi quattromila galassie. Tale analisi dettagliata ha evidenziato come l’universo fosse ricchissimo di galassie a disco già un miliardo di anni dopo il Big Bang. Queste galassie, caratterizzate da una forma regolare e molto simili alla Via Lattea dal punto di vista morfologico, sarebbero addirittura fino a dieci volte più numerose di quanto precedentemente stimato.
«Per oltre trent’anni si è pensato che le galassie a disco fossero rare nell’universo primordiale a causa delle frequenti e violente interazioni che le coinvolgono», dice Ferreira. «Il fatto che Webb ne trovi così tante è un altro segno delle capacità di questo strumento e del fatto che le strutture nelle galassie si formino molto prima di quanto nessuno avesse previsto».
Questi risultati non sarebbero stati possibili senza l’occhio sopraffino del telescopio Webb. Quelle che infatti erano state classificate come galassie irregolari sulla base delle immagini del telescopio spaziale Hubble, si sono rivelate invece galassie a disco una volta osservate con Webb. Ciò accade per diverse ragioni, prima fra tutte la migliore risoluzione angolare di Webb, che consente di scorgere strutture dettagliate in quelle che per Hubble erano solo regioni indistinte. Inoltre, Hubble è più sensibile alla luce ultravioletta prodotta dalle galassie lontane, che viene però facilmente assorbita dalle polveri, e può dunque conferire un aspetto frammentato alle galassie, complementare alla distribuzione dei grani di polvere. Infine, la luce ultravioletta viene prevalentemente emessa dalle stelle giovani, che spesso sono distribuite in maniera irregolare all’interno delle galassie, favorendo una parvenza disomogenea, al contrario della radiazione infrarossa catturata da Webb.
Sembra dunque che la cosiddetta “sequenza di Hubble“, ovvero l’insorgenza dei tipi morfologici che caratterizzano l’universo attuale, sia in piedi già da un bel pezzo, ovvero da quando l’universo aveva solo un miliardo di anni. Le implicazioni sono molte. Secondo Christopher Conselice, secondo autore dell’articolo, gli astronomi devono ripensare i processi di formazione delle prime galassie e la loro evoluzione negli ultimi dieci miliardi di anni. Il nuovo studio stima infatti che la maggior parte delle stelle si formi nelle galassie a disco. Tuttavia, pare che questa scoperta non metta in pericolo gli attuali modelli cosmologici. Gli autori hanno deciso di rendere pubblica la loro classificazione, in modo tale che sia utilizzata dalla comunità astronomica e funga da base per osservazioni di grandi aree di cielo, essenziali per investigare ulteriormente la morfologia delle galassie.
Fonte: Media INAF