Come si influenzano a vicenda la crescita di un buco nero supermassiccio e quella della galassia che lo ospita? Che impatto hanno questi buchi neri sulle primissime fasi evolutive delle galassie? Un team internazionale guidato da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) si è posto questi quesiti, tra i più spinosi dell’astrofisica contemporanea, e per affrontarli ha osservato uno dei tre quasar luminosi più distanti noti, la cui luce è partita circa tredici miliardi di anni fa, quando l’universo aveva un’età di appena settecento milioni di anni.
I quasar sono nuclei estremamente brillanti di galassie attive, la cui enorme luminosità deriva dall’intensa attività del buco nero supermassiccio nascosto nel cuore della galassia. Il quasar scelto dal team si chiama Pōniuā‘ena, che in lingua hawaiana – si legge sul sito dell’Imiloa Astronomy Center – “evoca l’invisibile fonte rotante della creazione, circondata da brillantezza”, ed è alimentato da un buco nero la cui massa è pari a un miliardo e mezzo di volte quella del Sole. La galassia che lo ospita si trova nel mezzo dell’epoca della reionizzazione: quel periodo della storia cosmica, verificatosi alcune centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, durante il quale l’universo è diventato trasparente alla radiazione emessa da stelle e galassie, così che la loro luce può oggi raggiungerci. Quasar come questo si sono formati molto presto nella sequenza temporale del cosmo, trovandosi in ambienti estremi caratterizzati dall’accumulo di enormi quantità di gas e polvere, ma le ragioni di una comparsa così rapida sono ancora uno dei misteri più grandi nell’astrofisica extragalattica.
Osservando il quasar Pōniuā‘ena con il Northern Extended Millimeter Array (Noema), il più potente radiotelescopio del suo genere nell’emisfero nord, il team ha rilevato gas molecolare freddo, sotto forma di monossido di carbonio, nel mezzo interstellare della galassia che ospita il quasar. Si tratta di un rilevamento da record: non era mai stato osservato gas molecolare freddo a epoche così antiche nella storia dell’universo. I risultati sono stati pubblicati oggi su The Astrophysical Journal Letters.
Si ritiene che il gas molecolare freddo sia uno degli ingredienti chiave per una efficiente formazione stellare. Per questo, gli astronomi ritengono che il gas molecolare fosse presente già nell’universo primordiale, anche prima che le stelle si formassero in grandi quantità. Di conseguenza, la scoperta del monossido di carbonio nel quasar Pōniuā’ena rappresenta una nuova pietra miliare per comprendere la formazione delle primissime molecole nell’universo.
«È la prima volta che misuriamo la riserva di gas molecolare freddo e polvere nell’universo primordiale, appena qualche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang», spiega Chiara Feruglio, ricercatrice Inaf a Trieste e prima autrice dello studio. «Troviamo che le galassie ospiti di quasar nell’universo antico hanno già la capacità di accumulare una massa di gas e polvere molto elevata: circa venti miliardi di masse solari, comparabile con quanto osservato in epoche cosmiche successive. È interessante notare che, nonostante il breve tempo cosmico intercorso dal Big Bang all’epoca in cui osserviamo il quasar Pōniuā‘ena, le quantità relative di gas freddo e polvere fredda è già molto simile al valore misurato nella nostra galassia, la Via Lattea, e altre galassie che popolano l’universo odierno».
«Sappiamo che questo quasar ospita un buco nero molto massiccio, che deve essersi formato o da una marcata concentrazione primordiale di massa oppure tramite accrescimento di gas a un tasso molto elevato su concentrazioni di massa più piccole», nota la co-autrice Francesca Civano, chief scientist presso il Physics of the Cosmos Program Office del Nasa Goddard Space Flight Center a Greenland nel Maryland, Stati Uniti. «Le osservazioni erano state programmate per studiare solamente la componente della polvere, non ci aspettavamo di rilevare anche una grande riserva di gas freddo, anche perché, per gli altri due quasar noti a distanze così elevate, il gas freddo non è stato ancora individuato. Invece con sorpresa abbiamo trovato due righe molto forti, che indicano una massiccia riserva di gas freddo e denso».
«Solo la notevole sensibilità recentemente raggiunta da Noema, unita alla sua ampia larghezza di banda di frequenza, ha consentito la scoperta del monossido di carbonio a Pōniuā’ena», aggiunge Jan Martin Winters, astronomo dell’Institut de radioastronomie millimétrique (Iram) in Francia e co-autore dello studio. «La potenza recentemente acquisita da Noema mantiene ora la promessa di rilevare il gas molecolare freddo in molte più sorgenti che ospitano quasar in queste epoche cosmiche primordiali. Tali rilevazioni permetterebbero di far luce anche sulla produzione di elementi pesanti nelle primissime fasi dell’universo».
L’idrogeno molecolare è di fondamentale importanza in quanto è il costituente base da cui nascono le stelle, e spesso viene invocato come il “serbatoio” della formazione stellare. Sfortunatamente, l’idrogeno molecolare non può essere osservato di per sé, ma si può utilizzare una relazione empirica tra la massa del monossido di carbonio e la massa dell’idrogeno molecolare per ricavare la quantità di idrogeno molecolare dalla quantità misurata di monossido di carbonio. L’osservazione del monossido di carbonio nel quasar Pōniuā’ena ha quindi permesso al team di ottenere una prima stima della densità cosmica di idrogeno molecolare. La stima di questo parametro fornisce importanti informazioni sulla chimica primordiale, svelando nuovi dettagli su come si sono formate le prime e più semplici molecole dell’universo. Queste stime erano finora limitate a epoche cosmiche molto successive, a partire da circa un miliardo di anni dopo il Big Bang. «La densità cosmica di idrogeno molecolare stimata grazie alle osservazioni del quasar Pōniuā‘ena concorda con quanto predetto dai più recenti modelli di formazione ed evoluzione di gas freddo nelle prime fasi dell’universo e dalle simulazioni cosmologiche», ricorda il ricercatore Inaf Umberto Maio, co-autore dello studio. Questo risultato indica che i modelli teorici sono sulla buona strada per spiegare le proprietà fondamentali dell’universo primordiale.
«Pōniuā‘ena fa parte di Hyperion, un campione dei quasar primordiali luminosi, specificamente selezionati per le “abitudini alimentari” estreme dei loro buchi neri massicci. Studiando i quasar di Hyperion», conclude Luca Zappacosta dell’Inaf, co-autore della ricerca e a capo della collaborazione scientifica Hyperion, «miriamo a comprendere la natura della comparsa così precoce di questi oggetti sorprendenti e a caratterizzare l’evoluzione simultanea di un buco nero e della sua galassia ospite. In questo contesto, questo rilevamento da record è cruciale in quanto pone le basi per scoprire il ruolo del gas molecolare freddo accumulato nei primi quasar in formazione e le avide abitudini alimentari dei buchi neri».
Fonte: Media INAF