Metalli. Così, senza andare troppo per il sottile, gli astronomi chiamano tutti gli elementi più pesanti di idrogeno ed elio. Indistintamente. In effetti, almeno quanto a origine, gli elementi che occupano le prime righe della tavola periodica – tolti appunto idrogeno ed elio, la cui genesi risale direttamente al big bang – hanno parecchio in comune: sono tutti sintetizzati nelle stelle, durante i processi a cascata di fusione nucleare o nel corso delle fasi terminali della loro evoluzione, come le esplosioni di supernove.
E dove vanno a finire, tutti questi metalli, alla fine del “ciclo di produzione”? Per rispondere il sistema più semplice è seguirne uno in particolare, di questi elementi: il ferro. «Il motivo è presto detto: è l’elemento più facile da misurare in banda X, perlomeno in determinati contesti», spiega a Media Inaf Silvano Molendi, astrofisico all’Inaf di Milano e primo autore di uno studio, pubblicato il mese scorso su Astronomy & Astrophysics, dedicato proprio alla distribuzione dei metalli nell’universo. «La sua riga spettrale a 6.7 KeV – la cosiddetta riga K-alpha – è quella che meglio si misura nello spettro degli ammassi. Ne segue che la stragrande maggioranza delle misure di metallicità nell’intracluster medium – Icm, in italiano mezzo intra-ammasso, il gas caldo che permea gli ammassi di galassie – sono in realtà misure del ferro».
Follow the iron, dunque. Ed è proprio lanciandosi sulle tracce del ferro e misurandone le quantità che una ventina di anni fa ci si è accorti che i conti non tornavano: dalla misura in banda X emerge infatti che la massa del ferro presente nel mezzo intra-ammasso è maggiore di quella prodotta dalle stelle presenti nelle galassie dell’ammasso. Un rompicapo al quale l’astrofisico Alvio Renzini, una decina d’anni fa, diede il nome di Fe conundrum: l’enigma del ferro, appunto.
Un enigma per il quale il lavoro guidato da Molendi giunge ora a proporre una soluzione, suggerendo una revisione sia della massa delle stelle sia dell’efficienza con la quale le stelle producono ferro. E arrivando a stimare – giustapponendo misure in banda X e in banda ottica in un modello semplice, matematicamente descrivibile attraverso l’algebra e, in qualche caso, attraverso
il calcolo integrale – che solo circa un quarto del ferro si trovi ancora nelle stelle.
«Fino a una ventina di anni fa la convinzione generale era che, negli ammassi, il grosso del ferro fosse nelle stelle e solo una parte minore nel gas caldo», ricorda Molendi. «Negli ultimi anni, grazie anche a un nostro lavoro del 2021, almeno una parte della comunità si sta convincendo che negli ammassi il grosso del ferro si trovi nel gas caldo e non nelle stelle».
Quanto al processo di trasferimento dei metalli dalle strutture piccole dove vengono sintetizzati, le galassie appunto, a quelle più grandi, come gruppi e ammassi di galassie, Molendi e colleghi lo descrivono nel loro studio facendo ricorso a un’analogia con un concetto tratto dalla biologia, quello di predatore di vertice o apex predator: così come il pesce grande mangia quello piccolo, gli ammassi di galassie – le più grandi strutture nell’universo – diventano apex accretors, o “accrescitori di vertice”.
«Se poi spostiamo lo sguardo dagli ammassi all’universo in generale, la stima che proponiamo – quella secondo la quale circa 3/5 dei metalli sarebbero situati nel gas tiepido presente all’interno delle galassie e nello spazio intergalattico – è una novità assoluta», conclude Molendi. «È vero che diverse simulazioni cosmologiche prevedono risultati simili al nostro, ma questa è la prima volta in cui si misura, anche se indirettamente, la frazione di metalli in questo gas. Un altro risultato nuovo, strettamente collegato a quello appena descritto, è che la metallicità dell’universo attuale è un fattore 6-7 più grande di quanto precedentemente stimato».
Per una verifica diretta delle stime della metallicità del gas tiepido sarà però necessario attendere misure ad alta risoluzione spettrale nella banda degli X molli, come quelle che promette di fornire lo strumento X-Ifu a bordo del futuro telescopio spaziale per raggi X Athena dell’Esa, il cui lancio è previsto nella seconda metà degli anni Trenta.
Fonte: Media INAF