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La galassia di Pablo, affamata dal suo buco nero

Un team internazionale di ricercatori – tra cui Giovanni Cresci di Inaf Arcetri e numerosi altri italiani all’estero – ha utilizzato il telescopio spaziale James Webb per osservare una galassia delle dimensioni della Via Lattea nell’universo primordiale, circa due miliardi di anni dopo il Big Bang. Come la maggior parte delle grandi galassie, nel suo centro ospita un buco nero supermassiccio. Tuttavia, questa galassia è essenzialmente “morta”: ha per lo più smesso di formare nuove stelle.

«Sulla base di osservazioni precedenti, sapevamo che questa galassia si trovava in uno stato di quenching: non sta formando molte stelle, date le sue dimensioni, e ci aspettiamo che ci sia un legame tra il buco nero e la fine della formazione stellare», dice Francesco D’Eugenio del Kavli Institute for Cosmology di Cambridge, primo autore dello studio pubblicato su Nature Astronomy. «Tuttavia, fino a Webb non siamo stati in grado di studiarla in modo abbastanza dettagliato per confermare questo legame, e non sappiamo se questo stato di quenching sia temporaneo o permanente».

La galassia, ufficialmente denominata Gs-10578 ma soprannominata Galassia di Pablo, dal nome del collega che ha deciso di osservarla in dettaglio, è piuttosto massiccia per trovarsi in un periodo così precoce dell’universo: la sua massa totale è circa 200 miliardi di volte la massa del Sole e la maggior parte delle sue stelle si è formata tra 12,5 e 11,5 miliardi di anni fa.

«Nell’universo primordiale, la maggior parte delle galassie sta formando molte stelle, quindi è interessante vedere una galassia morta così massiccia in questo periodo», riferisce Roberto Maiolino, anche lui del Kavli Institute for Cosmology. «Se ha avuto abbastanza tempo per arrivare a queste dimensioni massicce, qualsiasi processo che ha interrotto la formazione stellare è probabilmente avvenuto in tempi relativamente brevi».

Utilizzando Webb, i ricercatori hanno rilevato che la galassia in questione sta espellendo grandi quantità di gas a una velocità di circa mille chilometri al secondo, abbastanza veloce da sfuggire all’attrazione gravitazionale della galassia stessa. Questi venti in rapido movimento vengono “spinti” fuori dalla galassia dal buco nero centrale. Il fenomeno è riscontrato anche il altre galassie con buchi neri in fase di accrescimento, ma in questo caso Webb ha rilevato la presenza di una nuova componente del vento, non visibile con i telescopi precedenti. Questo gas è più freddo, quindi più denso e, cosa fondamentale, non emette luce. Webb, con la sua sensibilità superiore, può vedere queste nubi di gas scuro perché bloccano parte della luce della galassia dietro di loro.

La massa di gas che viene espulsa dalla galassia è maggiore di quella necessaria alla galassia per continuare a formare nuove stelle. In sostanza, il buco nero sta facendo morire di fame la galassia. «Abbiamo trovato il colpevole», spiega D’Eugenio. «Il buco nero sta uccidendo questa galassia e la tiene inattiva, tagliando la fonte di “cibo” di cui la galassia ha bisogno per formare nuove stelle».

Sebbene i modelli teorici precedenti avessero previsto che i buchi neri avessero questo effetto sulle galassie, prima di Webb non era stato possibile rilevarlo direttamente. Tali modelli prevedevano che la fine della formazione stellare avesse un effetto violento e turbolento sulle galassie, distruggendone la forma. Ma le stelle di questa galassia a forma di disco si muovono ancora in modo ordinato, suggerendo che non è sempre così.

Le nuove osservazioni con l’Atacama Large Millimeter-Submillimiter Array (Alma), focalizzate sulle componenti gassose più fredde e scure della galassia, ci diranno se e dove si nasconde eventuale carburante per la formazione stellare in questa galassia e qual è l’effetto del buco nero supermassiccio nella regione che circonda la galassia stessa.

 

Fonte: Media INAF

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