Normalmente, i pianeti dei sistemi planetari evoluti (come il nostro) seguono orbite stabili intorno alla loro stella. Tuttavia, molti indizi suggeriscono che durante la prima fase della loro evoluzione, alcuni pianeti potrebbero allontanarsi dai loro luoghi di nascita, migrando verso l’interno o verso l’esterno. Tale migrazione potrebbe spiegare un’evidenza osservativa che sta lasciando perplessi gli astronomi da diversi anni: il numero relativamente basso di esopianeti con dimensioni circa doppie rispetto alla Terra. Questo gap nella distribuzione dei raggi degli esopianeti è noto come valle dei raggi.
«Sei anni fa, una rianalisi dei dati del telescopio spaziale Kepler ha rivelato una carenza di esopianeti con dimensioni intorno a due raggi terrestri», ricorda Remo Burn, ricercatore del Max Planck Institute for Astronomy (Mpia) di Heidelberg e primo autore di un articolo pubblicato su Nature Astronomy. «In realtà, noi – come altri gruppi di ricerca – avevamo previsto, sulla base dei nostri calcoli, anche prima di questa osservazione, che un tale divario dovesse esistere», spiega il coautore Christoph Mordasini, membro del National Centre of Competence in Research (Nccr) PlanetS e direttore della Divisione di Ricerca Spaziale e Scienze Planetarie dell’Università di Berna.
Il meccanismo comunemente suggerito per spiegare l’esistenza della valle dei raggi è che i pianeti potrebbero perdere una parte della loro atmosfera originaria a causa dell’irradiazione della stella centrale, in particolare i gas volatili come l’idrogeno e l’elio. «Tuttavia, questa spiegazione trascura l’influenza della migrazione planetaria», dice Burn. Da circa 40 anni si ritiene che nel corso del tempo, in determinate condizioni, i pianeti possono spostarsi verso l’interno e verso l’esterno dei rispettivi sistemi planetari. E tale migrazione sembra avere un impatto non trascurabile sulla formazione della valle dei raggi.
Alle estremità di questo gap di raggi, si trovano due diversi tipi di esopianeti. Da un lato, ci sono i pianeti rocciosi, che possono essere più massicci della Terra e sono quindi chiamati super-Terre. Dall’altro lato, gli astronomi stanno scoprendo sempre più spesso i cosiddetti sub-nettuniani, che sono in media leggermente più grandi delle super-Terre. Poiché questa classe di esopianeti non è presente nel Sistema solare, gli astronomi non sono sicuri della loro struttura e composizione, anche se concordano sul fatto che questi pianeti possiedano atmosfere molto più estese rispetto ai pianeti rocciosi.
«Sulla base delle simulazioni che abbiamo già pubblicato nel 2020, gli ultimi risultati indicano e confermano che l’evoluzione dei sub-nettuniani dopo la loro nascita contribuisce in modo significativo alla valle dei raggi osservata», conclude Julia Venturini dell’Università di Ginevra, che ha guidato lo studio del 2020.
Nelle fredde regioni in cui si sono formati, dove i pianeti ricevono poca radiazione dalla stella, i subnettuniani dovrebbero avere dimensioni che di fatto non si riscontrano nella distribuzione osservata. La ragione potrebbe essere ricercata nella migrazione planetaria. Quando questi pianeti presumibilmente ghiacciati si spostano più vicino alla stella, il ghiaccio si scongela formando una spessa atmosfera di vapore acqueo. Questo processo si traduce in un aumento delle dimensioni dei pianeti, perché con le osservazioni non siamo in grado di distinguere se le dimensioni sono dovute alla sola parte solida del pianeta o a un’ulteriore atmosfera densa. Nello stesso tempo, i pianeti rocciosi si “restringono” perdendo la loro atmosfera. Nel complesso, entrambi i meccanismi – migrazione dei sub-nettuniani e perdita dell’atmosfera dei pianeti rocciosi – generano una mancanza di pianeti con dimensioni intorno ai due raggi terrestri.
I risultati riportati nell’articolo appena pubblicato sono stati ottenuti partendo da calcoli effettuati con modelli fisici che tracciano la formazione dei pianeti e la loro successiva evoluzione, considerando anche i processi nei dischi di gas e polvere che circondano le giovani stelle e che danno origine a nuovi pianeti. Questi modelli includono l’emergere di atmosfere, la miscelazione di gas diversi e la migrazione radiale.
«Il punto centrale di questo studio riguarda le proprietà dell’acqua alle pressioni e alle temperature che si verificano all’interno dei pianeti e delle loro atmosfere», spiega Burn. Capire come si comporta l’acqua in un’ampia varietà di pressioni e temperature è fondamentale per le simulazioni. Solo negli ultimi anni queste conoscenze hanno raggiunto una qualità sufficiente. È questa componente che ha permesso di calcolare in modo realistico il comportamento dei sub-nettuniani, spiegando così l’evidenza di atmosfere estese nelle regioni più calde.
«Se dovessimo estendere i nostri risultati alle regioni più fredde, dove l’acqua è liquida, questo potrebbe suggerire l’esistenza di mondi acquatici con oceani profondi», afferma Mordasini. «Tali pianeti potrebbero potenzialmente ospitare la vita e, grazie alle loro dimensioni, sarebbero obiettivi relativamente semplici per la ricerca di biomarcatori».
Sebbene la distribuzione dimensionale simulata corrisponda molto bene a quella osservata e la valle dei raggi sia al posto giusto, i dettagli presentano ancora alcune incongruenze. Ad esempio, nei calcoli troppi pianeti ghiacciati finiscono troppo vicino alla stella centrale. Ciononostante, i ricercatori sono positivi e si augurano, anche grazie alle simulazioni, di vederci più chiaro sulla migrazione planetaria. Inoltre, le osservazioni con telescopi come il James Webb Space Telescope (Jwst) o l’Extremely Large Telescope (Elt) in fase di costruzione potrebbero essere d’aiuto, poiché sarebbero in grado di determinare la composizione dei pianeti in base alle loro dimensioni, fornendo così un test per le simulazioni qui descritte.
Fonte: Media INAF