Il cosmo è popolato da migliaia di miliardi di galassie. Nell’universo locale, cioè quello a noi più vicino, questi grandi insiemi di stelle, gas, polveri (e materia oscura) tenuti insieme dalla gravità, mostrano un’ampia gamma di forme – a spirale, ellittiche, lenticolari e irregolari – e strutture – il disco (una regione nella quali si concentra la grande maggioranza di stelle e gas di una galassia a spirale e lenticolare); lo sferoide (un denso alone scarsamente popolato di stelle che costituisce da solo le galassie ellittiche ma che si trova anche sopra e sotto il disco delle galassie a spirale e lenticolari), le barre, etc. Ma quali sono le loro caratteristiche morfologiche e strutturali nell’universo primordiale, cioè pochi miliardi di anni dopo il big bang?
Per rispondere a questa domanda, un team di ricercatori guidato dal Rochester Institute of Technology – che comprende tra gli altri Andrea Grazian e Laura Bisigello dell’Inaf di Padova, e Adriano Fontana e Laura Pentericci dell’Inaf di Roma – ha analizzato le immagini di centinaia di galassie ottenute nell’ambito dalla campagna osservativa Cosmic Evolution Early Release Science (Ceers) dal telescopio spaziale James Webb (Jwst), trovando un’ampia diversità di forme e strutture.
Un primo censimento di questi oggetti all’alba dell’universo e delle loro caratteristiche è stato condotto dal telescopio spaziale Hubble. Prima utilizzando la Wide Field and Planetary Camera 2 (Wfpc2) e la Advanced Camera for Surveys (Acs), poi, a partire dal 2001, con la Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer (Nicmos). E infine, dal 2009 in poi, con la Wide Field Camera 3 (Wfc3), che nell’ambito della Cosmic Assembly Near-infrared Deep Extragalactic Legacy Survey (Candels) – la più grande survey in cui sia stato coinvolto il telescopio spaziale – ha mostrato che le galassie con redshift (z) maggiore di 1 – un parametro tipicamente utilizzato per misurare la distanza delle galassie, dove più grande è il valore ‘z’, più distanti e vecchie sono le galassie – presentavano un’ampia varietà di forme. I nuovi dati di Jwst hanno tuttavia rilevato che per alcuni di questi oggetti, le forme e le strutture sono in realtà diverse.
«In diversi studi precedenti, a redshift elevati sono state osservate molte galassie con disco. Questo è vero, ma in questa ricerca vediamo anche molte galassie con altre strutture, come sferoidi e forme irregolari, che osserviamo anche a redshift più bassi», spiega Jeyhan Kartaltepe, scienziata del Rochester Institute of Technology, co-investigatrice della survey Ceers e prima firmataria dello studio. «Ciò significa che anche a questi elevati redshift le galassie erano già abbastanza evolute e avevano un’ampia gamma di strutture».
Nello studio – i cui risultati sono stati presentati al 241mo meeting dell’American Astronomical Society, pubblicati su arXiv e accettati per la pubblicazione su The Astrophysical Journal – i ricercatori hanno prima esaminato le immagini ottenute dallo strumento Nircam di Jwst di 850 galassie con redshift compreso tra 3 e 9, che significa guardare questi oggetti com’erano tra 11 e 13 miliardi di anni fa, cioè quando l’universo aveva da 1 a 3 miliardi di anni. Poi, per ciascuna delle galassie del campione, hanno effettuato una classificazione visiva, assegnando loro una specifica classe morfologica: galassie con solo disco, con disco e componente sferoidale, con disco e caratteristiche irregolari, con disco e componente sferoidale e irregolare, galassie con solo componente sferoidale, con sferoide e caratteristiche irregolari e galassie irregolari. Infine, hanno confrontato i risultati con quelli ottenuti a partire dalle immagini di Hubble e con diverse simulazioni cosmologiche.
Delle 850 galassie utilizzate nello studio e precedentemente identificate dal telescopio Hubble, dopo essere state analizzate in dettagliato nelle immagini di Jwst, 488 sono state riclassificate in quanto mostravano morfologie diverse, spiegano i ricercatori. Molti degli oggetti classificati come sferoidi nelle immagini di Hubble, in quelle di Jwst mostravano infatti dischi. Secondo i ricercatori la spiegazione di ciò è la bassa luminosità superficiale del disco, non visibile nelle immagini di Hubble ma visibile in quelle a maggiore risoluzione di Jwst. La capacità di Jwst di vedere deboli galassie ad alto redshift con dettagli più nitidi ha permesso al team di ricerca di risolvere più caratteristiche e vedere un ampio mix di galassie, molte con caratteristiche strutturali mature come il disco e lo sferoide.
«Questo ci dice che non sappiamo ancora quando si sono formate le prime strutture galattiche», sottolinea Kartaltepe. «Non stiamo ancora vedendo le primissime galassie con i dischi. Per fare ciò dovremo esaminare molte più galassie con spostamenti verso il rosso ancora più elevati, in modo da quantificare davvero in quale momento temporale caratteristiche come i dischi sono state in grado di formarsi».
Più in dettaglio, i risultati mostrano che le galassie con z > 3 hanno un’ampia diversità di morfologie. Le galassie con disco costituiscono il 60 percento del totale delle galassie a z = 3, percentuale che scende a circa il 30 percento a z compreso tra 6 e 9. Le galassie con sferoidi costituiscono circa il 30-40 percento nell’intero intervallo di redshift, mentre le galassie con solo sferoidi senza evidenza di dischi o caratteristiche irregolari costituiscono circa il 20 percento. Quanto alle galassie con caratteristiche irregolari, la loro frazione è approssimativamente costante a tutti i redshift (circa il 40-50 percento), mentre quelle che mostrano solo caratteristiche irregolari aumentano dal 12 percento al 20 percento a z > di 4.5. A tutti i redshift, inoltre, le galassie sferoidali e a disco più piccole tendono a essere più rotonde.
Si tratta di un trend che coincide con quello ottenuto dalle simulazioni cosmologiche effettuate con IllustrisTng e il modello semi-analitico di Santa Cruz ai medesimi redshift, aggiungono i ricercatori. Questo significa che le galassie con dischi e sferoidi consolidati esistono già ai più alti redshift sondati e che le basi stesse della sequenza morfologica di Hubble – lo schema di classificazione morfologica per le galassie, ideato da Edwin Hubble nel 1936 – sono stabilite già all’inizio della storia dell’universo.
«Il risultato principale dello studio è stato l’aver confermato che la forma delle galassie cambia col tempo, man mano che queste si evolvono» spiega a Media Inaf Adriano Fontana, responsabile della divisione nazionale abilitante dell’astronomia ottica ed infrarossa dell’Inaf e co-autore dello studio. «I dati di Jwst ci hanno permesso di studiare la forma delle galassie nei primi miliardi di anni della vita dell’universo, più indietro nel tempo di quanto avesse potuto fare in precedenza Hst. Si è visto che andando indietro nel tempo le galassie tendono a trasformarsi assumendo forme sempre più irregolari, ma nonostante questo continuiamo a osservare un numero elevato di galassie con una forma regolare, a forma di disco oppure di sferoidi come le galassie intorno a noi. Questo ci suggerisce che il processo di formazione di queste galassie regolari sia iniziato ancor prima di quanto pensavamo, nei primi uno-due miliardi di anni»
Come anticipato, lo studio ha utilizzato un set di dati iniziale acquisito con la survey Ceers quando Jwst è entrato in azione, ma a oggi la survey ha condotto molte più ore di osservazione, fornendo potenzialmente migliaia di galassie ad alto redshift da analizzare ulteriormente. Un campione che diventerà ancora più ampio con la survey Cosmos-web, il più grande programma General Observer approvato per le osservazioni di Jwst, che proprio questo mese ha iniziato la sua campagna osservativa.
«Questo è solo l’inizio», conclude Kartaltepe. «I dati in arrivo del primo ciclo di osservazioni di Jwst ci permetteranno di raccogliere campioni di galassie molto più grandi, in particolare ai redshift più alti. Grazie a questi dati, presto quantificheremo l’evoluzione delle loro morfologie e le confronteremo con le loro controparti odierne».
Fonte: Media INAF