È successo domenica scorsa. Nel primo pomeriggio del 9 ottobre 2022, mentre qui in Italia erano appena iniziate le partite del campionato. Alle 13:16:59 UT – il tempo universale, il più comodo in questi casi, visto che su in orbita non ci sono fusi orari né ore legali – un potente flusso di fotoni gamma ha investito i rivelatori del telescopio spaziale Fermi della Nasa e di altri telescopi per le alte energie, nello spazio e sulla Terra. Il primo a reagire all’evento, però, è stato un altro satellite: il cacciatore di lampi gamma Swift, il cui strumento Bat alle 14:10:17 – dunque circa un’ora dopo l’inizio dell’evento – ha messo in allerta un team di astrofisici guidato da Simone Dichiara della Penn State University (Usa) che, a sua volta, ha avvisato la rete internazionale di ricercatori interessati ai lampi gamma con una cosiddetta “circolare” (Gcn, dall’inglese Gamma-ray Coordinates Network), come si usa in questi casi, dando notizia di una potente emissione ad alta energia da una sorgente sconosciuta e condividendone le coordinate con i colleghi di tutto il mondo.
Ecco così che telescopi da terra e in orbita si sono immediatamente girati in quella direzione, verso la costellazione della Freccia, mentre gli astronomi si mettevano a spulciare i dati acquisti nelle ore precedenti per verificare se qualcosa di anomalo fosse stato visto provenire da quelle parti. E in effetti sì, circa un’ora prima qualcosa di anomalo aveva lasciato traccia nelle registrazioni dei due rivelatori Gbm e Lat di Fermi. Qualcosa di grosso: un segnale gamma dal flusso così intenso da essere stato bollato come “il gamma-ray burst del secolo”.
«Un flusso così elevato è dato dalla combinazione fra la grande luminosità intrinseca e la vicinanza», spiega a Media Inaf Andrea Tiengo dello Iuss di Pavia, astrofisico associato Inaf alla guida di uno fra i team che per primi hanno rilevato il lampo gamma nei dati di Swift. Potrebbero passare decenni prima di rilevarne uno altrettanto luminoso.
Nome in codice Grb 221009A, è un gamma-ray burst (Grb) molto forte, dunque, ma anche incredibilmente vicino per eventi di questo genere: la sua luce, per raggiungerci, ha impiegato “appena” 1.9 miliardi di anni, stando alle stime di Swift (secondo Gemini South, la sorgente dista da noi circa 2.4 miliardi di anni luce).
«È stato un burst molto più vicino dei tipici Grb», aggiunge infatti una ricercatrice italiana alla guida di un altro team che ha visto il segnale nei dati di Fermi, Roberta Pillera, dottoranda al Politecnico di Bari e associata Infn, «il che è entusiasmante perché ci consente di rilevare molti dettagli che altrimenti sarebbero troppo deboli per essere visti. Ma è anche una tra le esplosioni più energetiche e luminose mai viste indipendentemente dalla distanza, il che lo rende doppiamente entusiasmante».
Uno fra i motivi di entusiasmo è che Grb 221009A potrebbe rappresentare il “primo vagito” di un buco nero appena nato, un buco nero prodotto dal collasso gravitazionale di una stella di grande massa. Buchi neri di questo tipo producono, nell’atto di formarsi, potenti getti di particelle che viaggiano a velocità prossime a quella della luce. Getti che “perforano” la stella, emettendo raggi X e raggi gamma mentre fluiscono nello spazio circostante, portando dunque con sé informazioni sul processo di collasso stellare, sulla nascita di un buco nero, sul comportamento della materia quando viaggia quasi alla velocità della luce, e molto altro.
Ma c’è di più. Nel suo viaggio durato, appunto, 1.9 miliardi di anni luce, i fotoni ad alta energia di Grb 221009A – fra i quali potrebbe esserci anche il fotone di più alta energia mai rilevato da un gamma-ray burst, addirittura 18 TeV, intercettato dall’osservatorio cinese Lhaaso – hanno incontrato e interagito con materia d’ogni genere, in particolare con la polvere. Ed è qui che si fa interessante la direzione di provenienza: la costellazione della Freccia, infatti, giace sul piano della Via Lattea. Dunque il percorso compiuto dai fotoni X e gamma di Grb 221009A diretti verso di noi è irto di ostacoli dovuti, appunto, alla presenza della nostra galassia – principalmente nubi di polvere.
«Un disastro per chi studia l’emissione alle lunghezze d’onda assorbite dalla polvere», dice Tiengo, «ma un’occasione ghiotta per noi che invece studiamo proprio i fenomeni che si verificano quando un impulso di raggi X ha origine dietro alle nubi di polvere a noi più vicine. In questo caso, la polvere che c’è nella nostra galassia fa rimbalzare i raggi X, deviandone la traiettoria e aumentando così il tempo che impiegano per giungere fino a noi».
Il risultato lo potete vedere nell’immagine qui a fianco: una serie di anelli concentrici, osservati in banda X da Swift, corrispondenti al numero di nubi di polvere incontrate man mano dal Grb, ciascuna delle quali lo ha appunto deviato e ritardato. «Al momento ne abbiamo identificate dieci, di queste singole nubi», continua Tiengo, il “signore degli anelli” – sono l’oggetto principale dei suoi studi – prodotti dai gamma-ray burst. «Le vediamo come dieci anelli concentrici, che si espandono a velocità diversa. E per ciascuna di queste nubi possiamo così calcolare la distanza». Anelli tuttora in formazione, essendo appunto l’esito di una successione di ritardi temporali: il team di Tiengo sta già attendendo al varco i prossimi con il satellite Xmm-Newton dell’Esa.
Fonte: Media INAF