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Si può escludere l’inflazione cosmica?

Secondo due noti astrofisici, l’inflazione cosmica – quel momento agli albori dell’universo in cui lo spaziotempo si presume essersi espanso esponenzialmente – in linea di principio potrebbe essere scartata grazie all’esistenza nel cosmo di un segnale chiaro e inequivocabile. Il loro articolo, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, sostiene che questo segnale, noto come fondo cosmico di gravitoni (Cgb), può di fatto essere rilevato, sebbene rappresenti un’enorme sfida tecnica e scientifica.

«L’inflazione è stata teorizzata per spiegare varie sfide di fine-tuning del cosiddetto modello del Big Bang caldo», ricorda il primo autore Sunny Vagnozzi del Kavli Institute for Cosmology di Cambridge, un giovane ricercatore italiano originario di Terracina, in provincia di Latina, ora all’Università di Trento. «Spiega anche l’origine delle strutture nel nostro universo come risultato delle fluttuazioni quantistiche. Tuttavia, la grande flessibilità mostrata dai possibili modelli di inflazione cosmica, che abbracciano un panorama illimitato di risultati cosmologici, solleva preoccupazioni sul fatto che l’inflazione cosmica non sia falsificabile, anche se i singoli modelli inflazionistici possono essere esclusi. In linea di principio, è possibile testare l’inflazione cosmica in modo indipendente dal modello?».

Alcuni scienziati hanno sollevato preoccupazioni sull’inflazione cosmica nel 2013, quando il satellite Planck ha rilasciato le sue prime misurazioni del fondo cosmico a microonde (Cmb), la luce più antica dell’universo. «Quando sono stati annunciati i risultati del satellite Planck, sono stati addotti come una conferma dell’inflazione cosmica», afferma Avi Loeb dell’Università di Harvard. «Tuttavia, alcuni di noi hanno sostenuto che i risultati potrebbero mostrare esattamente il contrario».

Insieme ad Anna Ijjas e Paul Steinhardt, Loeb è stato uno di quelli che ha sostenuto che tali risultati hanno in realtà mostrato che l’inflazione poneva più enigmi di quanti ne risolvesse e che era tempo di considerare nuove idee sugli albori dell’universo che, per esempio, potrebbe essere iniziato non con una “esplosione” ma con un “rimbalzo” di un cosmo precedentemente contratto.

Le mappe del Cmb rilasciate da Planck rappresentano la prima volta che possiamo “vedere” l’universo, 100 milioni di anni prima della formazione delle prime stelle. Non possiamo vedere più lontano, ossia più indietro nel tempo. «Il limite effettivo dell’universo osservabile è alla distanza che un qualsiasi segnale avrebbe potuto percorrere al limite della velocità della luce nei 13,8 miliardi di anni trascorsi dalla nascita dell’universo», spiega Loeb. «Come risultato dell’espansione dell’universo, questo confine si trova attualmente a 46,5 miliardi di anni luce di distanza. Il volume sferico all’interno di questo confine è come uno scavo archeologico centrato su di noi: più in profondità indaghiamo, precedente è lo strato di storia cosmica che scopriamo, fino al Big Bang che rappresenta il nostro orizzonte ultimo. Cosa ci sia oltre questo orizzonte non si sa».

Potrebbe essere possibile approfondire ulteriormente gli albori dell’universo studiando i neutrini, particelle quasi prive di massa, che sono le particelle massive più abbondanti nell’universo. Queste viaggiano liberamente da circa un secondo dopo il Big Bang, quando la temperatura era di dieci miliardi di gradi. «L’universo di oggi deve essere pieno di neutrini fossili risalenti a quel tempo», sostiene Vagnozzi.

Vagnozzi e Loeb affermano che possiamo risalire ancora più indietro nel tempo, tuttavia, tracciando i gravitoni, le particelle mediatrici della forza di gravità. «L’universo era trasparente ai gravitoni fin dal primo istante tracciato dalla fisica conosciuta, il tempo di Planck: 10 alla potenza di -43 secondi, quando la temperatura era la più alta concepibile, 10 alla potenza di 32 gradi», dice Loeb. «Una corretta comprensione di ciò che è venuto prima richiede una teoria predittiva della gravità quantistica, che non possediamo».

Secondo gli scienziati, una volta che l’universo ha permesso ai gravitoni di viaggiare liberamente senza dispersione, si sarebbe dovuto generare un fondo fossile di radiazione gravitazionale termica con una temperatura leggermente inferiore a un grado sopra lo zero assoluto: il fondo cosmico di gravitoni, appunto.

Tuttavia, la teoria del Big Bang non consente l’esistenza del Cgb, poiché suggerisce che l’inflazione esponenziale dell’universo neonato abbia diluito i resti come il Cgb al punto da non essere rilevabili. È chiaro che questo potrebbe quindi trasformarsi in un test: se il Cgb venisse rilevato, chiaramente escluderebbe l’inflazione cosmica.

Vagnozzi e Loeb sostengono che un tale test sia possibile e il Cgb potrebbe in linea di principio essere rilevato in futuro. Il Cgb si aggiunge al budget delle radiazioni cosmiche, che include il fondo a microonde e quello di neutrini. Influisce quindi sul tasso di espansione cosmica dell’universo primordiale a un livello rilevabile dai satelliti di prossima generazione, che potrebbero fornire il primo rilevamento indiretto del Cgb.

Per rivendicare un rilevamento definitivo del Cgb, la “pistola fumante” sarebbe la detezione di un fondo di onde gravitazionali ad alta frequenza con picchi intorno a 100 GHz, molto difficile da rilevare e che richiederebbe enormi progressi nella tecnologia del girotrone e dei magneti superconduttori. Tuttavia, affermano i ricercatori, in futuro questo segnale potrebbe diventare alla nostra portata.

 

Fonte: Media INAF

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