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Si salvi chi può dal getto di M87

Le stelle esploderebbero più frequentemente in prossimità del getto di M87, galassia ellittica che troneggia nell’Ammasso della Vergine. Gli “scoppi” di cui stiamo parlando sono le cosiddette novae, ovvero esplosioni termonucleari che accadono sulla superficie di una nana bianca che accresce idrogeno da una stella compagna – tipicamente una gigante rossa – in un sistema binario. Quando l’idrogeno proveniente dalla stella gigante supera una certa temperatura critica, si innesca una vera e propria reazione nucleare che sparpaglia nel mezzo circostante gli strati più esterni della nana bianca. Quest’ultima non viene disintegrata dall’esplosione ma sopravvive, pronta per rifornirsi nuovamente di gas dalla stella compagna. Il sistema binario produrrà dunque ciclicamente delle esplosioni, che si manifestano nel firmamento come una variazione della luminosità della stella. E così astri minuti, che erano dapprima invisibili, improvvisamente si palesano, prima di celarsi nuovamente alla vista nell’arco di qualche giorno. Il getto di cui parliamo è invece una gigantesca struttura prodotta dal buco nero al centro di M87 – proprio lui, quello della prima immagine dell’orizzonte degli eventi. Costituito da particelle che si muovono a velocità prossime a quella della luce, il getto di M87 si estende per circa tremila anni luce ed è stato immortalato in diverse bande dello spettro elettromagnetico.

Ma cosa c’entrano le esplosioni stellari con un getto di particelle relativistiche che si estende per miliardi di chilometri? Ce lo dicono gli autori di uno studio pubblicato a fine settembre su The Astrophysical Journal. Il team di ricercatori, guidato da Alec Lessing della Stanford University, in California, ha monitorato per nove mesi le novae apparse in M87. Accorgendosi che il numero di esplosioni osservate in prossimità del getto è due volte superiore a quel che si riscontra nel resto della galassia. Sembrerebbe dunque che il getto favorisca in qualche misterioso modo le esplosioni stellari. La scoperta è stata compiuta utilizzando il telescopio spaziale Hubble che, a differenza dei telescopi sulla Terra, riesce distinguere le novae anche nelle vicinanze del brillante centro della galassia.

«Non sappiamo cosa stia succedendo, ma è un risultato molto entusiasmante. Significa che c’è qualcosa che manca nella nostra comprensione di come i getti prodotti dai buchi neri interagiscono con il mezzo circostante», dice Lessing. Il fatto che il numero di eventi in prossimità del getto sia due volte superiore a quel che si osserva nel resto della galassia può voler dire due cose: o che i sistemi binari che generano novae sono due volte più numerosi che altrove o che nei sistemi stellari vicino al getto le esplosioni sono due volte più frequenti. «C’è qualcosa che il getto sta facendo ai sistemi stellari che vagano nelle vicinanze. Forse il getto in qualche modo spinge l’idrogeno, ovvero il carburante dell’esplosione, sulle nane bianche, in modo che eruttino più spesso», aggiunge il primo autore. «Ma non è chiaro se si tratti di una vera e propria spinta. Potrebbe essere l’effetto della pressione esercitata dalla radiazione prodotta dal getto. Se l’idrogeno viene riversato più rapidamente, le esplosioni pure accadono più velocemente. Qualcosa potrebbe raddoppiare il trasferimento di massa sulle nane bianche vicino al getto». I ricercatori stanno esplorando anche uno scenario alternativo, secondo il quale il getto sta scaldando la stella compagna della nana bianca, facendo in modo che essa riversi più idrogeno su di essa. Sembrerebbe però che questo processo non sia sufficiente per spiegare la frequenza di novae osservata.

Gli autori della ricerca non sono stati i primi a notare che fenomeni inusuali accadono nei pressi del buco nero di M87. Fin dai primi anni ’90, praticamente tutte le volte che Hubble scrutava questa regione venivano registrate una o più novae. All’epoca però era stata osservata solo una piccola regione di M87 e dunque non era possibile confrontare quel che stava accadendo nei pressi del getto con ciò che avveniva lontano da esso. «Non ci è voluto chissà cosa. Abbiamo fatto la scoperta semplicemente guardando le immagini. Nella sorpresa generale, la nostra analisi statistica dei dati ha confermato ciò che si vedeva chiaramente», conclude Michael Shara, secondo autore della scoperta. Le immagini parlano chiaro, insomma. Per il resto, si tratta di un bel rompicapo che per ora rimane senza risposta.

 

Fonte: Media INAF

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