L’emissione di raggi gamma dalle nubi temporalesche è molto più complessa, varia e dinamica di quanto si pensasse in precedenza. È quanto emerge da due studi pubblicati ieri su Nature guidati entrambi da due fisici dell’Università di Bergen (Norvegia), uno dei quali – l’italiano Martino Marisaldi – è anche associato all’Istituto nazionale di astrofisica. Fenomeni complessi, questi alla base dell’emissione di raggi gamma durante i temporali, e fondamentali per indagare processi in parte ancora non compresi all’origine dei fulmini.
Fino a oggi erano due i fenomeni d’emissione ad altissima energia rilevati durante i temporali: i lampi di raggi gamma terrestri (Tgf, dall’inglese terrestrial gamma-ray flash) e i bagliori di raggi gamma (gamma glows, in inglese). Lo studio guidato da Nikolai Østgaard riporta ora l’osservazione di un terzo tipo di emissione – una sorta di lampi di raggi gamma “tremolanti” (Fgf, dall’inglese flickering gamma-ray flashes), brevi impulsi prodotti in un intervallo dai 20 ai 250 millisecondi – che potrebbe rappresentare, dice Østgaard, «l’anello mancante tra i Tgf e i bagliori gamma, la cui assenza ha lasciato perplessa la comunità dell’elettricità atmosferica per due decenni».
La scoperta è stata resa possibile dai dati raccolti dalla campagna osservativa Aloft (Airborne Lightning Observatory for Fegs and Tgfs): dieci missioni condotte nell’estate del 2023 a bordo di un aereo Er-2 della Nasa, opportunamente equipaggiato con strumentazione scientifica per la rilevazione di raggi gamma e campi elettrici, volando ad alta quota al di sopra di altrettanti temporali tropicali sui Caraibi e in America Centrale. Missioni nel corso delle quali sono stati registrati 96 Tgf, 10 bagliori gamma e 24 di questi inediti lampi tremolanti – gli Fgf, appunto. Oltre alla durata dei singoli impulsi, che li colloca a metà strada fra i brevissimi Tgf e i più lunghi bagliori gamma, gli Fgf si caratterizzano per l’assenza di qualsivoglia associazione con segnali ottici o radio rilevabili.
Risultati inattesi emergono anche dal secondo studio, quello guidato da Marisaldi. A sorprendere gli scienziati, in questo caso, è stato osservare come, contrariamente a quanto ritenuto finora, le nubi temporalesche tropicali al di sopra dell’oceano e delle regioni costiere emettano comunemente raggi gamma per ore, e su aree che si estendono fino a qualche migliaio di chilometri quadrati.
«In precedenza si riteneva che questi fenomeni di alta energia fossero relativamente rari, quasi solo delle curiosità», ricorda Marisaldi a Media Inaf. «Ora sappiamo che sono molto frequenti, almeno negli intensi sistemi temporaleschi tropicali, e intrinsecamente connessi ai processi di carica e scarica delle nubi. Un’affascinante ipotesi che stiamo considerando è che siano uno degli elementi che facilitano o addirittura causano i fulmini, la cui origine è tuttora un mistero. Questo sarebbe un cambio di paradigma rispetto all’interpretazione corrente che vede i Tgf, almeno quelli più brillanti osservabili dallo spazio, associati a fulmini già sviluppati e in fase di propagazione».
Fonte: Media INAF