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Supernova, supergigante, supervecchia

Dopo aver brillato e illuminato il cielo per miliardi di anni, le stelle di grande massa escono di scena attraverso spettacolari esplosioni che gli astronomi chiamano supernove di tipo II.

Più in dettaglio, si tratta di immense eiezioni di materia ed energia prodotte da stelle dieci volte più massicce del Sole quando, durante l’ultima fase della loro vita – la fase di supergigante –, esauriscono il loro carburante. Il nome alternativo con cui sono conosciute è supernove a collasso nucleare: il collasso del nucleo stellare, dovuto alla forte forza gravitazionale non più bilanciata dalla pressione di radiazione, è infatti ciò che avviene negli istanti antecedenti la potente deflagrazione.

Studiare queste esplosioni è fondamentale non solo per comprendere meglio i processi fisici che le governano ma anche per determinare le proprietà della stella progenitrice: è ciò che che ha fatto un team di ricerca internazionale guidato dall’Università del Minnesota Twin Cities, negli Usa, con una supernova esplosa agli albori dell’universo.

La supernova oggetto dello studio ha un redshift z=3, il che significa che risale a circa 2 miliardi di anni dopo il Big Bang, ovvero più di 11 miliardi di anni fa.

I ricercatori l’hanno identificata in tre immagini a campo profondo del telescopio spaziale Hubble, che è riuscito a risolverla grazie al naturale effetto di ingrandimento della sua luce – l’effetto lente gravitazionale – prodotto dall’enorme massa di Abell 370, un ammasso di galassie situato nella costellazione della Balena.

«È il primo sguardo dettagliato a una supernova in un’epoca molto precoce dell’evoluzione dell’universo», sottolinea Patrick Kelly, professore all’Università del Minnesota e co-autore dello studio pubblicato su Nature. «Questo è molto entusiasmante, perché ci permette di studiare in dettaglio una singola stella quando l’universo aveva meno di un quinto della sua età attuale e di capire se le stelle esistite miliardi di anni fa erano diverse da quelle vicine».

Combinando i dati Hubble con i dati spettroscopici ottenuti nell’ottico con il Blue Channel Spectrograph del Multiple Mirror Telescope Observatory e nel vicino infrarosso con lo strumento Luci del Large Binocular Telescope e il Mosfire del Keck Observatory, hanno quindi determinato il raggio della stella progenitrice: circa 350 milioni di chilometri, più o meno 500 volte quello del Sole. È questa la stima ottenuta: un valore, spiegano i ricercatori, coerente con quello di una supergigante rossa.

Il team di ricerca ha anche studiato il cambiamento di temperatura della supernova durante la sua evoluzione, secondo le analisi passata da 100mila a 10mila gradi in otto giorni: un raffreddamento che è mostrato nel pannello D dell’immagine in alto sotto forma di cambiamento di colore. Infine, utilizzando modelli di sintesi stellare, i ricercatori hanno stabilito la massa della galassia che ospita la supernova e il tasso di formazione stellare, rispettivamente 20 milioni di masse solari e 0.2 masse solari/anno.

Questi risultati, concludono i ricercatori, hanno permesso di ricostruire cosa è successo alla supernova nei suoi primi giorni e potrebbero aiutare gli scienziati a comprendere meglio le proprietà di stelle e galassie presenti nell’universo primordiale.

 

Fonte: Media INAF

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