Il 10 aprile del 2019 veniva presentata al mondo un’immagine che avrebbe fatto la storia: la prima di un buco nero, quello al centro della galassia M87, distante 55 milioni di anni luce da noi. Si tratta della prima prova visiva diretta dell’esistenza di questi misteriosi e affascinanti oggetti del cosmo, fino ad allora osservati solo indirettamente, grazie agli intensi effetti gravitazionali che provocano nell’ambiente circostante.
Per rendere possibile l’ardua impresa di averne un’immagine diretta, l’ambizioso progetto dell’Event Horizon Telescope (Eht) ha riunito una rete di 7 radiotelescopi sparsi in diverse posizioni del nostro pianeta che, nel 2017, hanno compiuto in simultanea le osservazioni del buco nero supermassiccio M87*.
Sincronizzando i radiotelescopi e mettendo assieme tutti i dati, i ricercatori sono riusciti a ottenere una risoluzione angolare molto elevata, quella che avrebbe un radiotelescopio grande quanto la Terra: proprio quanto serve per riuscire a risolvere questo mostro cosmico che, pur avendo dimensioni gigantesche e oltre 6 miliardi di volte la massa del Sole, dalla nostra distanza ha una grandezza estremamente ridotta, come quella di una ciambella posizionata sulla superficie della Luna.
In un articolo pubblicato la settimana scorsa su The Astrophysical Journal Letters, un team di ricercatori ha descritto una nuova tecnica di elaborazione dei dati di Eht denominata Primo. Questo algoritmo ha permesso di ottenere, a partire dagli stessi dati del 2017 utilizzati per ricostruire l’immagine originale, una nuova immagine più nitida e dettagliata del buco nero al centro di M87.
Nella nuova immagine possiamo notare a colpo d’occhio le differenze rispetto alla versione precedente. Le caratteristiche più importanti, ossia la presenza di un anello brillante, di una regione centrale scura e le differenze di luminosità nell’anello, sono coerenti tra l’immagine del 2019 e quella elaborata con Primo. Ma in quest’ultima, l’anello luminoso che circonda l’ombra del buco nero, che corrisponde al gas incandescente che ruota intorno, risulta molto più sottile e maggiormente dettagliato. La regione scura centrale, quindi l’ombra del buco nero stesso, è invece di maggiori dimensioni.
Questa nuova tecnica di elaborazione non ha a che fare però solo con l’estetica. Essa, infatti, aiuterà i ricercatori a determinare con maggiore precisione i parametri fisici del buco nero, come ad esempio la massa, oltre che a testare in maniera più precisa i modelli fisici che descrivono i buchi neri. «Poiché non possiamo studiare i buchi neri da vicino, il dettaglio di un’immagine gioca un ruolo fondamentale nella nostra capacità di comprenderne il comportamento. La larghezza dell’anello nell’immagine è ora più piccola di circa un fattore due, il che costituirà un potente vincolo per i nostri modelli teorici e per i test di gravità», spiega Lia Medeiros, dell’Institute for Advanced Study (Usa), prima autrice dell’articolo.
Per comprendere come funziona questo nuovo metodo di elaborazione, dobbiamo capire quale problema deve risolvere. Sebbene l’unione di diversi radiotelescopi sparsi per il globo abbia permesso di ottenere una risoluzione angolare sufficiente a risolvere il buco nero di M87, l’Eht non riesce a raggiungere la piena potenza di raccolta dati che avrebbe un singolo radiotelescopio delle dimensioni del nostro Pianeta. L’oggetto osservato presenta quindi delle informazioni mancanti.
Questo algoritmo «è un nuovo approccio al difficile compito di ricostruire immagini dalle osservazioni di Eht», dice Tod R. Lauer del NoirLab, Usa. Primo si basa sull’apprendimento automatico: viene addestrato su un grande set di dati, oltre 30mila simulazioni ad alta fedeltà di buchi neri circondati da gas. In questo modo, il modello elabora i dati reali di Eht restituendo un risultato che comprende una stima molto precisa anche delle strutture mancanti. «Con la nostra nuova tecnica di apprendimento automatico, siamo riusciti a raggiungere la massima risoluzione dell’array attuale», spiega Medeiros.
Questo è solo il primo test dell’algoritmo, che potrà essere utilizzato anche per altre osservazioni di Eht, come quella che ha portato al rilascio, lo scorso anno, della prima immagine di Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia, la Via Lattea. Inoltre, le future osservazioni di Eht con l’aggiunta di nuovi telescopi in diverse posizioni geografiche, permetterà di ottenere immagini ancora più definite, e di comprendere quindi meglio la morfologia dei buchi neri.
Fonte: Media INAF