Quando ci si trova davanti ad un qualche cosa di noto, ma osservato da una prospettiva nuova e differente rispetto a quanto si è abituati, ad esempio un paesaggio, oppure un cielo stellato, la prima necessità è quella di orientarsi.
Identificare i punti cardinali e poi trovare gli elementi noti di maggior spicco ci permettono di entrare in confidenza con lo scenario che abbiamo di fronte per poi andare via via a dirimerne i dettagli, talvolta osservando aspetti del tutto nuovi.
Non deve quindi sorprendere se, osservando un cielo stellato, da una posizione boreale (emisfero nord), si senta subito la necessità di trovare l’orsa maggiore, Ursa Major per i latini.
Essendo le sue stelle molte e spesso deboli, ci accontenteremo delle più famose, quelle che compongono il Grande Carro.
Questo asterisma, è noto da tempi antichissimi.
In tutti i popoli del emisfero boreale esiste una leggenda od un mito legato a quelle sette stelle e gli aneddoti, recenti o del passato, si sprecano.
Il fatto che anche i nativi americani la conoscessera, è un indicatore che gia durante le glaciazioni, quando lo stretto di Bering era percorribile, le popolazioni che percorrevano il nostro pianeta già facevano riferimento all’orsa per indicare quel preciso gruppo di stelle.
Secondo uno dei miti greci più noti, l’orsa rappresenterebbe Callisto, una ninfa votata ad Artemide, la dea della caccia. Come tutte le sue seguaci, Callisto aveva fatto voto di castità, voto infranto quando Zeus la sedusse facendole dare alla luce Arcade.
Artemide, accecata dall’ira trasformò Callisto in orsa e la mise sui passi di Arcade, che era divenuto, crescendo, un abile cacciatore.
Arcade, ignaro di avere di fronte la madre, stava per ucciderla quando intervenne Zeus portando entrambi nel cielo e facendo divenire Arcade l’orsa minore.
Secondo altre fonti invece, fu Zeus a trasformare Callisto in orsa per salvarla dalle ire di Artemide. Era, ingelosita, fece in modo che fosse Artemide, ignara della trasformazione, a dare la caccia all’orsa, fino all’intervento salvifico di Zeus.
Come possiamo vedere, le sfumature del mito si confondono in alcuni aspetti, ma nella cultura greca, sempre ritorna la trasformazione di Callisto in una Orsa, dettaglio particolare, dotata di una lunga coda.
In altre culture l’orsa viene rappresentata invece come un Cammello dal lungo collo oppure come una renna.
Restando nella cultura greca da cui discende anche la nostra, è interessante notare come ad esempio Omero abbia citato in entrambe le sue opere questa meravigliosa costellazione:
D’Orïon tempestosa, e la grand’Orsa
Che pur Plaustro si noma. Intorno al polo
Ella si gira ed Orïon riguarda,
Dai lavacri del mar sola divisa.
Iliade lib. XVIII, v. 671
Ei le Pleiadi stava, e di Boote
Il tardo tramontar, e la grande Orsa
Che altri chiamano Plaustro e che si volge
Quindi rimpetto ad Orïon, la sola
Dell’Oceano da' lavacri intatta.
Odissea lib. V, v. 270
Divisa dai lavacri del mare… ossia, che mai si immerge nel mare, o meglio, che mai sparisce dietro l’orizzonte.
Va infatti notato che, per la sua posizione, dalle latitudini del nord Italia, fatta salva la presenza di montagne od altri ostacoli del campo visivo, l’orsa maggiore, in particolare il grande carro, è circumpolare, ossia non tramonta mai.
Come per il sole, il tramonto di una costellazione indica il suo scomparire dietro la linea dell’orizzonte.
Ebbene, per il grande carro, questo non succede mai… per ora!
Va infatti ricordato che le costellazioni sono soggette alla precessione degli equinozi, ossia l’effetto legato alla rotazione dell’asse polare che impiega circa 25772 anni a compiere un ciclo.
Se ai nostri giorni l’orsa è per noi circumpolare, non sempre è stato così.
Nel nord america, per esempio, non esiste traccia di racconti mitologici che spieghino questa particolarità del non tramontare mai.
La causa, probabilmente è imputabile al fatto che le migrazioni avvennero quando la costellazione aveva una posizione molto più vicina all’equatore polare, addirittura 15° nel circa 16000 a.C.
Per tornare ad Omero, la cultura classica spiega l’impossibilità di Callisto di lavarsi nei mari per una richiesta di Era, che non voleva si potesse purificare e lavare così il suo adulterio.
Il grande carro, per la sua importante funzione di indicatore del nord era tra l’altro noto agli antichi romani come “Septem Triones” da cui deriva l’uso comune di indicare il nord con il termine “Settentrione”.
Per gli anglosassoni invece l’asterisma è meglio noto come “The Big Dipper”, ossia “Il grande mestolo”, mestolo che purtroppo, dalle nostre latitudini è destinato a rimanere sempre vuoto.
In epoca più recente, nel XVII secolo, sempre legata all’Orsa Maggiore si deve la scoperta della prima stella doppia della storia, Mizar.
Il nome, di origine araba, fu cambiato nel XVI secolo da Merak in Mizar che significa “Cintura”.
È la terza stella nella coda del grande carro, visibile tipicamente anche dagli ambiti urbani ed è in realtà un sistema composto da 6 astri.
Fu certamente la prima stella doppia scoperta anche se l’attribuzione può essere ricondotta a due astronomi, Giovanni Riccioli (che nel 1651, pubblicando l’Almagestum Novum riferì in una nota che la stella centrale del Orsa Maggiore aveva un aspetto duplice) e Benedetto Castelli (che la scopri il 7 gennaio 1617 segnalandone l’osservazione al suo maestro Galileo Galilei).
Il sistema stellare viene normalmente indicato come composto da Mizar ed Alcor che sono distinguibili dagli occhi più acuti avendo una separazione di 707,7”.
A rendere ancor più affascinante questo sistema, è la presenza tra Mizar ed Alcor di un’ulteriore stella, esclusivamente prospettica, chiamata “Sidus Ludoviciana”.
Scoperta nel 1722 da Johann Georg Liebknecht, venne inizialmente ritenuta un pianeta e solo in seguito si scoprì essere una stella di magnitudine appartene 8, non osservabile quindi ad occhio nudo.
Anche le altre stelle del Grande Carro hanno nomi propri, ed in particolare, Dubhe e Merak sono noti come “I Puntatori” in quanto nella nostra epoca indicano la stella Polare.
Sempre nel XVIII secolo, un cacciatore di comete francese, noto come Charles Messier, indicò ben 7 oggetti presenti nella costellazione dell’orsa.
Di questi il più singolare è probabilmente M40, si tratta infatti non di una nebulosità bensì di una stella doppia.
L’astronomo tuttavia non aveva preso un abbaglio.
Messier scrisse infatti nelle sue memorie che stava cercando una Nebulosa sopra la schiena dell’orsa, descritta da Hevelius nella sua opera “Figure delle Stelle” del 1660. Lo stesso Messier rimase stupito da questo errore, tuttavia decise di elencare quelle stelle nel suo catalogo di nebulosità in quanto già in passato avevano tratto in inganno gli astronomi.
Venendo infine ad osservazioni svolte in anni molto più recenti, nel 1995 il telescopio spaziale Hubble, completò tra il 18 ed il 28 dicembre la serie di prese fotografiche note come Hubble Deep Field (HDF) che racchiudevano centinaia di galassie lontane ma racchiuse in una porzione minuscola di questa meravigliosa costellazione.
Dal cielo, questa costellazione ci racconta la sua storia, la nostra storia.
Un filo conduttore che per secoli ha rappresentato un chiaro punto di riferimento, una guida nella notte, per trovare la strada verso casa, la strada verso noi stessi.
di Fabrizio Benetton
Bibliografia:
Grande guida dell’astronomia, Libreria Geografica in collaborazione con A.S.I., edizione aggiornata 2020
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
Cielo e Costellazioni, la scienza racconta i miti, Paolo Colona, irideventi edizioni, 2010
L’atlante del cielo, di Edward Brooke-Hitching, ed. mondadori 2020
Alle frontiere del cosmo, 3-La vita di una stella; A cura di Gianluca Ranzini, Testi di Lorenzo Pizzuti.
I miti Greci, di Robert Graves, ed. Longanesi 2021
Storie del Cielo, Il giro del cosmo in 365 notti, seconda ed., di Ilaria Sganzerla
L’origine astronomica di alcuni miti greci - Paolo Colona - Atti del 20° Seminario di Archeoastronomia – ALSSA
SkyAndTelescope.org -Meet Mizar and Alcor: Thehorse and Rider, By Daniel Johnson, 27th Jan 2022
Immagini:
Wikipedia – the free enciclopedia
Hubble Space Telescope