Non sempre il cielo risulta appariscente, tanto meno quando ci troviamo immersi nell’inquinamento luminoso delle città. Non sempre ci troviamo davanti a stelle luminose, per la maggior parte sono troppo deboli per essere percepite dall’occhio umano senza l’ausilio di lenti. Non sempre le costellazioni presentano un antico e nobile lignaggio.
Questo è il caso della costellazione del Leone Minore, il quale ricopre una piccola porzione di cielo incastonata tra le zampe del Orsa Maggiore ed il dorso del Leone. Le stelle principali sono quattro e tutte deboli, la più luminosa, Praecipua, è di magnitudine 3,9 e quindi percepibile solo da cieli poco inquinati, le altre hanno tutte magnitudine superiore. Ufficialmente, la costellazione, al pari di altre già incontrate in questa rubrica, viene inventata da Johannes Hevelius nel 1687, la cui storia l’abbiamo scoperta raccontando della costellazione della Lince.
Prima di Hevelius, non esisteva una costellazione posizionata lì dove ora si trova il Leone Minore, tuttavia gli artisti andavano talvolta ad occupare quello spazio celeste per collocarvi rappresentazioni di miti oramai dimenticati oppure, semplicemente, lasciavano delle pennellate di blu cielo a colmare il vuoto. Il primo caso è ben rappresentato da Giovanni Antonio da Varese, detto il Vanosino, che affrescò la volta di palazzo Farnese a Caprarola, nella sala del mappamondo tra il 1573 ed il 1575.
Come si può notare, in alto a sinistra, là dove successivamente apparve il Leone Minore, troviamo Zeus, a cavalcioni di un’aquila ed armato di folgore nell’atto di scagliarla. Contro chi starà mai rivolgendo la propria ira il padre degli dei?
Ebbene, l’ira di Zeus era rivolta contro Fetonte, rappresentato nella parte opposta della volta. Presunto figlio di Apollo, Fetonte volle misurare le proprie capacità sottraendo di nascosto il carro del padre, carro che aveva la funzione di trasportare il sole nel cielo. A causa della sua inesperienza e del carattere focoso dei cavalli, il giovane perse il controllo ed il sole si avvicinò paurosamente alla terra. Il mito ci racconta di come le acque si ritirarono, le campagne si arsero e persino la pelle degli uomini si scurì. Questa è ovviamente la rappresentazione in chiave mitologica di cosa succede talvolta nel periodo estivo quando l’arsura sembra eccessiva e non finire mai. A porre fine al tragico tentativo dell’inesperto giovane accorse Zeus che lanciando una folgore, fece precipitare definitivamente il carro, che cadde nel Po (oppure nel fiume Eridano), ponendo fine alla corsa del carro eliaco.
Un’altra meravigliosa rappresentazione della volta celeste, precedente ad Hevelius, che non riempie però lo spazio occupato dalla nostra piccola costellazione, è la volta della cupola della sagrestia nella chiesa di San Lorenzo a Firenze. In questa magnifica rappresentazione, dove ben si riconoscono le costellazioni del mito antico, mancano ovviamente tutte quelle inventate successivamente.
Possibile davvero che prima di Hevelius, nessuno abbia mai avuto l’idea di dedicare quella porzione di cielo a qualche potente protettore? Già in passato abbiamo incontrato casi simili, dove addirittura la stessa area celeste aveva nomi diversi a seconda del paese di riferimento (si veda a tal proposito la costellazione della Lucertola). Non siamo questa volta riusciti ad identificare un caso del genere, od almeno, non da Tolomeo in poi. Esiste pur tuttavia una traccia molto antica, risalente a diversi millenni or sono. Questa volta, non si tratta di antichi astronomi babilonesi né greci, si tratta invece di fare un salto nell’antica cosmologia egizia. Per gli antichi egizi, il rapporto con il cielo era di natura estremamente pratica.
La volta celeste serviva principalmente a dettare l’alternanza delle tre stagioni (esondazione – crescita – raccolto) e marcare lo scorrere del tempo. A questo si aggiungeva poi la funzione narrativo-mitologica ma con un approccio decisamente meno spinto se comparato con i greci e dettato da osservazioni meno meticolose se comparato con l’astronomia Babilonese.
Il cielo o zodiaco di Dendera, qui riportato, è una mappa completa del cielo antico. Tuttavia, la sua realizzazione risale all’epoca dopo Cristo. Si tratta di un bassorilievo che adorna il soffitto del porticato di una cappella dedicata ad Osiride, nel tempio di Hathor nella località di Dendera. Tempio voluto dall’imperatore romano (nonché faraone) Tiberio Giulio Cesare Augusto nel I sec. Dopo Cristo.
Qui vediamo raffigurate le 12 costellazioni dello zodiaco che anche se rappresentate in foggia diversa hanno dei tratti inconfondibili come ad esempio le costellazioni di scorpione, sagittario e capricorno.
Per ritrovare mappe celesti veramente antiche, si rende necessario rivolgere lo sguardo da un’altra parte, paradossalmente verso il basso, verso il regno dei morti. Diverse tombe e sarcofaghi presentano segni grafici di carattere astronomico, come il soffitto della camera funeraria di Seti I. Datata circa dodici secoli prima di Cristo, questa tomba presenta un cielo, rappresentato di un blu intenso, che riporta le costellazioni principali della cultura egizia. Sebbene alcune possano sembrare riconoscibili, molte hanno un carattere esotico.
Degne di particolare interesse per la nostra narrazione, sono tre costellazioni: il Bue, il Falco ed il Leone. Se quest’ultima lascia pochi spazi ai dubbi interpretativi, le altre due hanno una connotazione inusuale, tuttavia il tema del bue si accomuna sempre a quello del carro o dell’Orsa Maggiore. Resta quindi la domanda relativa alla figura frapposta tra le due più importanti. Secondo gli studiosi, seppure per motivi sconosciuti, il falco occupa la porzione di cielo oggi nota come Leone Minore. Falco che rappresenta Horus. La leggenda narra che dalla terra (divinità maschile Geb) e dal cielo (la madre Nut) ebbero origine cinque figli: Osiride, Iside, Seth, Nefti e Kepri. Osiride ed Iside divennero i primi faraoni e governavano rettamente le terre del Nilo, guadagnandosi così l’odio ed il risentimento del fratello Seth. Geloso del fratello, durante una festività, sfidò il Faraone ad entrare in un sarcofago appositamente costruito. Una volta chiuso, il sarcofago venne gettato nel Nilo, causando così la morte di Osiride. Iside andò in cerca del marito disperso e quando lo trovò lo trasse fuori dalle acque, ma oramai era troppo tardi. Al ritrovamento del marito, Iside tentò di resuscitarlo invano, nel tentativo rimase però fecondata. Presto nacque il figlio dei primi faraoni, Horus. Seth scoprì del ritrovamento dell’odiato fratello e non contento di averlo ucciso, ne divise il corpo in sette parti, lanciate poi in luoghi remoti dell’Egitto. Sette dee minori andarono quindi alla ricerca delle parti del corpo, le trovarono e ricomposero, mummificarono infine il corpo cosicché l’anima di Osiride potesse andare in cielo. Nel frattempo, il figlio cresceva nascosto ed al sicuro. Horus divenne poi l’eroe egizio per eccellenza, destinato a lottare con lo zio Seth, responsabile della morte del padre, il dio dalla testa di falco portò ordine nel caos e nacque con lui una nuova era di pace e prosperità per l’Egitto.
Una porzione di cielo minuta, poco luminosa e che ad un primo sguardo appare piuttosto povera di interesse, può celare anch’essa una storia ricca di magia e fascino. Anche una costellazione da poco come il Leone Minore, può celare un racconto degno di Shakespeare.
di Fabrizio Benetton
Bibliografia:
Grande guida dell’astronomia, Libreria Geografica in collaborazione con A.S.I.,
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
L’atlante del cielo, di Edward Brooke-Hitching, ed. mondadori 2020
I miti Greci, di Robert Graves, ed. Longanesi 2021
Immagini:
Wikipedia – the free enciclopedia
Atlascoelestis.com – di Felice Stoppa
Ancient-Origins.net