Auriga

Il sapore della polvere, alzata dagli zoccoli, gli riempiva e seccava la bocca mentre le orecchie erano riempite dal tempestare degli zoccoli sul terreno. Il cuore del giovane, invece, volava leggero già oltre tutti gli ostacoli mentre gli occhi si riempivano della bellezza della sua compagna di fuga. Quella che Pelope, giovane principe, stava affrontando, non era una semplice fuga romantica ma una corsa contro il tempo, una corsa per la sopravvivenza.auriga1Auriga - Hevelius, Uranographia, XVII sec.
Enomao, re di Arcadia, aveva infatti imposto che chiunque desiderasse sposare sua figlia Ippodamia, dovesse misurarsi con lui in una lunga e difficile corsa di carri. Il percorso partiva da Pisa, sulle rive del fiume Alfeo, di fronte ad Olimpia, fino all’altare di Posidone sull’istmo di Corinto. Ippodamia sarebbe salita sul carro del pretendente, il quale avrebbe avuto mezzora di vantaggio, mentre il re Enomao sacrificava a Zeus un ariete.
auriga2Pelope ed Ippodamia in fuga, rappresentazione su anforaChi tra il re ed il pretendente fosse arrivato per primo avrebbe avuta salva la vita, l’altro sarebbe morto. Così facendo, Enomao aveva già eliminato una dozzina di pretendenti. Il re di Arcadia, infatti, non solo era geloso della figlia, ma era anche dotato di due cavalle figlie del vento, Psilla ed Arpina Il carro del re era poi guidato da un auriga straordinario, Mirtilo, figlio di Hermes, il dio dei viaggiatori.
Come talvolta accade, il successo di re od eroi, seppur merito della benevolenza divina, viene travisato portando ad un eccesso di boria ed all’arroganza per poi ricorrere in una punizione tremenda da parte delle stesse divinità che avevano innalzato l’incauto eroe.
Così successe anche ad Enomao che aveva preso a vantarsi dei pretendenti uccisi. Pelope, infatti, era ben conscio delle difficoltà che doveva affrontare e del pericolo di morte che incombeva sulla sua scelta di sposare Ippodamia. Il giovane quindi si rivolse a Posidone chiedendogli di avere il cocchio piu veloce del mondo oppure, che deviasse la lancia di Enomao al momento fatale. Il dio del mare fu felice di aiutare il principe donandogli un carro d’oro, che poteva correre anche sulle acque, trainato da cavalli alati immortali.
auriga3Pelope con Ippodamia e Mirtilo, Theodor Kaselowsky, Neues Museum, 19° secoloTanto veloce era il carro che, quando Pelope lo testò la prima volta, correndo sulle acque del mare Egeo, con il suo auriga Cillo, questi morì per la troppa velocità della corsa. Da lì in poi, Pelope decise di condurre personalmente il carro. Temendo tuttavia che ciò non fosse abbastanza, una volta giunto a Pisa per sfidare Enomao, Pelope andò a parlare con Mirtilo, l’auriga del re. Constatando che anche egli era innamorato della fanciulla, i due strinsero un accordo: se Mirtilo avesse aiutato Pelope a vincere la corsa, tradendo il suo padrone, avrebbe trascorso la prima notte di nozze con Ippodamia ed inoltre avrebbe ereditato metà del regno di Enomao. Prima della corsa, anche la fanciulla stessa, innamoratasi del giovane principe, andò a supplicare Mirtilo di tradire il padre in cambio di una lauta ricompensa.
L’auriga non se lo fece dire una terza volta, manomise il carro del re sostituendo i mozzi delle ruote con altri fatti di cera. Il risultato della competizione fu certo: Pelope vinse ed Enomao Morì. Ciò che i miti non chiariscono è se il re morì direttamente per mano del principe oppure nell’incidente causato dalla rottura dei mozzi manomessi. Quel che è certo è che l’auriga sopravvisse alla corsa ma ricevette una maledizione dal re tradito.
Quando poi Mirtilo si fece avanti per reclamare la sua parte, invece di un caloroso benvenuto, ricevette il filo della spada di Pelope, o secondo altre narrazioni, un potente calcio del principe che scaglio Mirtilo nel mare. Hermes ebbe però compassione di suo figlio e lo fece risplendere nel cielo, fece così splendere la costellazione del auriga.
La costellazione in questione non è forse tra le più celebri e note, ed anche nell’arte spesso viene rappresentata in modi molto diversi, tanto che in alcuni esempi viene raffigurato come un re. In quasi tutte le rappresentazioni viene poi associata alla figura maschile quella delle caprette, da una tre, a seconda della sensibilità dell’artista.
Non si tratta però di trasformazioni del mito, bensì di miti differenti che si sovrappongono. La figura dell’auriga come re si riferisce infatti al mito di Erittonio. Erittonio era infatti figlio di Efesto, il dio vulcano, e pupillo di Atena. Questo eroe, descritto in alcune narrazioni come mezzo uomo e mezzo serpente, viene ricordato come il fondatore e primo re di Atene, città dedicata alla sua protettrice. La dea, tuttavia, non solo investì l’eroe della sua benevolenza, ma si occupò anche della sua formazione, insegnandogli tra le altre cose a domare i cavalli ed a legarli ai carri. Il re viene infatti descritto come un abile domatore e superbo auriga, tanto da essere in grado di condurre un carro trainato da quattro cavalli, al pari di Apollo e del suo carro che trasporta il sole lungo la volta celeste.
auriga4Zeus allattato da Amaltea, Giorgio Vasari, XVI secPer quanto riguarda la capretta (o le caprette), il riferimento è tra la stella Capella, la più luminosa della costellazione e la ninfa Amaltea. Si narra infatti che Crono, noto anche come Saturno, dopo aver detronizzato il padre Urano, fosse stato maledetto a subire la stessa sorte del padre e di morire per mano di un suo figlio. Per tale ragione il titano, che aveva sposato la sorella Rea, divorava i suoi figli prima che raggiungessero l’anno di età. Nonostante l’ira della moglie Crono aveva infatti già divorato cinque dei suoi figli. Rea, dopo aver partorito nel segreto Zeus, affido il suo piccolino alla Madre Terra perché lo crescesse all’insaputa del padre.
Il bimbo venne portato a Litto, sull’isola di Creta, vivendo nascosto in una grotta dove le ninfe Adrastea ed Io se ne occupavano, facendolo allattare da una capretta di nome Amaltea. Il bimbo crebbe nutrendosi di latte e miele, accudito dalle ninfe e dal suo fratellastro Pan. Al padre venne invece consegnato un macigno avvolto in fasce, che venne prontamente divorato. Il titano, tuttavia, sentiva di essere stato in qualche modo ingannato e pertanto si mise alla ricerca del bimbo.
auriga5Auriga con AmalteaPer evitare che venisse scoperto, le ninfe tennero Zeus dentro una culla sospesa, così che non fosse né in cielo né in terra tanto da sfuggire alle ricerche del padre. Una volta cresciuto, Zeus si recò dalla titanessa Meti per chiedere il suo consiglio, consiglio che portò il giovane da sua madre Rea che meditando vendetta pose il figlio a coppiere di Crono. Su suggerimento di Meti servirono quindi un emetico (veleno che induce il vomito) a Crono, facendogli rigurgitare dapprima il masso, e poi tutti i fratelli di Zeus. Una volta liberi, fratelli e sorelle si unirono nella lotta contro i titani, scegliendo il più giovane come loro guida.
La guerra durò ben dieci anni, portando i giovani ad allearsi con i giganti Centimani e con i Ciclopi i quali fecero dono della folgore, dell’elmo dell’invisibilità e del tridente rispettivamente a Zeus, Ade e Posidone. Ma questa è tutta un’altra storia. Quando poi Zeus sconfisse i titani e divenne il padrone dell’universo, pose Amaltea nel cielo come stella lucentissima (ma secondo altri filoni, Amaltea divenne la costellazione del capricorno) e donò uno dei suoi corni giganteschi alle ninfe, corno che presto divenne noto come cornucopia o corno dell’abbondanza.
Quando fuori viene freddo ed il sole tramonta presto, per chi avrà il coraggio di sfidare il freddo, alzando gli occhi al cielo ed alle chiare stelle, il firmamento ci saprà ricompensare non solo della sua bellezza, ma ci catapulterà nella storia dei grandi eroi leggendari della Grecia antica.
Miti e leggende antiche che, dopo aver riempito gli occhi con la loro lucentezza, si fanno ascoltare con piacere ma anche con un pizzico di timore da adulti e bambini, lasciando stupiti per la magia che riportano in vita e che in fondo, risplende sulle nostre notti illuminando e riempiendo i nostri sogni.

 

di Fabrizio Benetton

 

Bibliografia:
Grande guida dell’astronomia, Libreria Geografica in collaborazione con A.S.I., edizione aggiornata 2020
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
I miti Greci, di Robert Graves, ed. Longanesi 2021

Immagini:
Wikipedia – the free enciclopedia
Atlascoelestis.com – di Felice Stoppa

Lacerta - Lucertola

lacerta1Lacerta - Hevelius, Uranographia, XVII sec.Un pomeriggio di ottobre, sotto i tiepidi raggi di un sole che vagamente ricordava l’arsura estiva, una lucertola si godeva il calore della nostra stella standosene tra i sassi, del muretto eretto a secco, che delimitava le proprietà della tenuta. Forse è stata proprio un’immagine come questa, o forse si è trattato di un tritone pescato dal famoso astronomo, con macchie bianche come stelle, ad ispirare Johannes Hevelius ed a dargli l’idea di inserire il piccolo animale laddove era giusto rimasto un pochino di spazio tra le costellazioni dei giganti. Stretto tra Pegaso, Andromeda, Cassiopea, Cefeo ed il Cigno, rimaneva infatti uno spazio vuoto di cielo che seppur povero di astri facilmente visibili, sembrava invitare gli astronomi ad una sfida verso l’immortalità.
lacerta2Sceptrum et Manus Iustitiae – Royer, 1679La sfida vide coinvolti in varie epoche, almeno tre famosi astronomi di cui abbiamo menzione: Johannes Hevelius (XVII sec.) con la sua “Lacerta sine Stellio”, Augustin Royer (XVII sec.) con la costellazione “Sceptrum et Manus Iustitiae” ed Johann Elert Bode (XVIII sec.) con la “Gloria Friderici”. Augustin Royer fu architetto ed astronomo reale nel XVII sec presso la corte di Luigi XIV, il re sole. Per rendere omaggio al suo sovrano, con la pubblicazione della sua opera “Cartes du Ciel”, datata 1679, introdusse due costellazioni, lo Scettro e Mano della Giustizia e poi il fiore del giglio, noto come Lilium in onore della Francia. L’opera, composta da quattro tavole astronomiche, riporta le coordinate astronomiche ricalcolate per l’anno 1700, andando quindi a correggere la precessione degli equinozi.
Johan Bode, vissuto a cavallo del XVIII-XIX secolo, fu un astronomo reso celebre, tra le altre cose dalla pubblicazione della legge di Titus-Bode che andava a ridefinire le dimensioni dei semiassi delle orbite planetarie del sistema solare. lacerta3Johan Elert Bode, Amburgo 1747- Berlino 1826Direttore dell’osservatorio di Berlino dal 1786, pubblico diverse opere tra cui la sua opera magna, Uranographia la quale, oltre a rappresentare le costellazioni con una grafica eccezionale, presentava gli astri con una posizione estremamente precisa. In tale opera andò a collocare la costellazione della Gloria di Federico che non sostitutiva, bensì si affiancava alla costellazione inventata da Hevelius, al più sottraendogli un poco di spazio. Scopritore della Galassia di Bode nel 1774, successivamente inserita nel catalogo Messier nel 1781 come M81, l’astronomo mori a Berlino nel 1826 all’età di 79 anni. Come la storia ci racconta, solo poi uno di loro ebbe l’onore di essere riconosciuto dal IAU nella definizione delle 88 costellazioni moderne, Johannes Hevelius.
Una delle particolarità della lucertola, ed è il motivo per cui tale costellazione non era stata definita da popoli antichi, è quindi che privi di uno strumento ottico, quale un binocolo o telescopio, ammirando il cielo in condizioni normali, come il cielo delle nostre città si propone, risulta pressoché invisibile. Questa poca appariscenza, una costellazione invisibile, forse non ci sorprende perché non è l’unico caso, ma ci pone dinanzi ad un interrogativo importante e di non banale risposta, perché il cielo è Buio? Perché servono i telescopi? Alzando gli occhi al cielo, appare evidente che, al tramontar del sole al di là della linea dell’orizzonte, tutto pian piano diventa buio. lacerta4Onore di Federico, Bode 1786Seppure il motivo possa sembrare scontato, ossia l’assenza della luce del sole, questo fenomeno ha tormentato nei secoli recenti gli studiosi del cielo.
Dopo che Isaac Newton, nel suo “Philosophie naturalis – Principia Mathematica”, divulgò la teoria della gravitazione universale nel ‘600, già sul finire del XVIII sec. era stato dimostrato che anche gli astri sono soggetti a tali forze di gravità. Molti studiosi hanno quindi iniziato a porsi il problema del perché, se le stelle sono un numero finito ed occupano una porzione di spazio finito, non sono attratte dalla gravità le une con le altre e perché questa attrazione non ha ancora portato le stelle a collassare le une sulle altre in un unico punto? Perché pur sapendo che subiscono le leggi della gravità, non sembrano risentirne?
lacerta6Isaac Newton - Philosophie Naturalis Principia MathematicaLa risposta a questa domanda poteva essere solo che le stelle non sono finite, bensì infinite ed occupano uno spazio infinito, così da annullare gli effetti gravitazionali e restare, almeno apparentemente, in equilibrio.
Questo assunto però apriva la strada ad un’altra domanda che, pur immaginandola posta da molti scienziati, sappiamo essere stata enunciata nel 1826, dall’astronomo tedesco Heinrich Wilhelm Olbers, come quello che aveva la forma di un mistero e che pertanto è noto come Paradosso di Olbers: “Se le stelle sono infinite tanto da impedire il collasso gravitazionale, come è possibile che il cielo notturno sia buio nonostante l'infinità di stelle presenti nell'universo?”. Considerando infatti di essere circondati da un numero potenzialmente infinito di stelle, di luminosità variabile e poste a distanza variabile, l’effetto finale (inquinamento luminoso permettendo) dovrebbe essere comunque quello di vedere stelle ovunque e quindi il cielo dovrebbe apparire della stessa luminosità della superficie del sole. Un po' come la luminosità della Via Lattea, solo che dovrebbe riempire tutta la volta del cielo.
lacerta6Isaac Newton - Philosophie Naturalis Principia MathematicaAlcune teorie ipotizzavano la presenza di nubi oscure frapposte tra noi e gli astri più lontani, tanto oscure da impedire il passaggio della luce, ma in realtà tali nubi avrebbero dovuto a loro volta brillare a causa dell’elevato numero di corpi celesti. Pur essendosi a lungo interrogati su questo aspetto del cielo, la risposta arrivò solo in epoca recente, nel XIX secolo quando lo scrittore E.A. Poe, grande appassionato ed abile divulgatore di temi astronomici, propose durante una conferenza la sua idea: Guardando lontano vediamo le stelle via via sempre più giovani, così giovani che ad un certo punto le vediamo non ancora accese, lì vediamo il buio. Poe aveva infatti considerato che, essendo la velocità della luce finita, molto probabilmente, negli spazi bui stiamo sì osservando stelle, solo che sono così lontane che le vediamo non ancora formate.
Percepiamo quindi le nubi di materia dalla quale si sono formate, materia che ci impedisce di vedere attraverso e quindi l’effetto è di vedere il buio. Questa idea di Poe si affianca inoltre ad un’altra sua grande idea: l’universo è composto non da stelle singole, come si credeva fino ad allora, bensì da ammassi di ammassi di stelle. Queste idee vennero confermate solamente nel XX secolo, quando negli anni 20 del ‘900, a seguito anche di quello che passò alla storia come “Il grande dibattito”, gli scienziati cercarono le prove per dimostrare se effettivamente tutti gli oggetti celesti allora noti fossero parte di un unico ammasso, la Via Lattea, oppure ne fossero al di fuori. A risolvere la questione (come abbiamo avuto modo di vedere trattando della costellazione di Andromeda) fu l’astronomo statunitense Hubble che grazie ad un telescopio di 2,5 metri di apertura, riuscì a misurare delle stelle di tipo cefeide nella nube di Andromeda.
lacerta7Telescopio Hooker, Monte Wilson, Pasadena (California)Ma perché il telescopio permette di vedere più stelle? Perché è servito un telescopio enorme (all’epoca il più grande del mondo) per capire che la nube di Andromeda è in realtà una galassia? La motivazione risiede nella capacità delle lenti di raccogliere la luce e di concentrarla in un punto, tanto maggiore il diametro della lente e tanto maggiore la capacità della lente di raccogliere onde luminose debolissime, così deboli che dal nostro occhio nudo non sono percepite.
Immaginiamo di dover decidere se sta piovendo, o meno. Allungando la mano magari ci capita di sentire qualche debole gocciolina rendendoci incerti nel definire se piove o meno. Immaginiamo ora di avere sopra la nostra mano un imbuto molto grande, la sua capacità di raccogliere le goccioline aumenta molto la nostra percezione della pioggia. Così anche il telescopio è in sintesi un imbuto per i fotoni, le onde luminose che attraversano il cielo e ci parlano del passato. Alzando gli occhi al cielo, ogni volta che ammiriamo anche ad occhio nudo le chiare stelle, stiamo facendo un tuffo nel passato, non solo tra oggetti stellari o del profondo cielo, bensì anche un tuffo nella storia della nostra specie, un tuffo nella storia dell’umanità.

 

di Fabrizio Benetton

 

Bibliografia:
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
La volpe e la Lucertola, Mario Sandri

Immagini:
Wikipedia – the free enciclopedia
Atlascoelestis.com – di Felice Stoppa

 

Andromeda

andromeda1Andromeda - Hevelius, Uranographia, XVII sec.Quando l’estate volge al termine e le giornate si accorciano, inizia a levarsi alta nel cielo una costellazione assai particolare. Figlia di re e sposa di un eroe, Andromeda era una fanciulla di straordinaria bellezza ma il cui destino si fece incerto quando la madre, tanto bella quanto vanitosa fece adirare le nereidi, le figlie di Poseidone. La costellazione di questa fanciulla si colloca infatti, come già Cefeo, Cassiopea e Perseo nella grande narrazione mitologica di quest’ultimo, un semidio, figlio di Zeus e capace di andromeda2Andrómeda escalante, Juan Antonio de Frias, museo del pradoimprese eroiche. Ciò che spesso sfugge è che dopo il matrimonio e la fondazione di Micene, Andromeda fu madre di cinque figli e più tardi, tra i suoi discendenti troveremo un altro eroe degno di Perseo ed anch’esso figlio di Zeus, Eracle (Ercole secondo la cultura romana). Perseo ed Eracle, seppur legati dal sangue, hanno entrambi lo stesso padre divino e non solo, entrambi hanno un simile destino, superare prove ardite per dimostrare il proprio valore.
Ancor più particolare è una vicenda che lega i due eroi: come Perseo sconfisse Cetus, il mostro marino per liberare la sua futura sposa dal suo triste destino, così Eracle salverà la giovane Esione, incatenata ad uno scoglio nuda fuorché dei gioielli. Esione era stata condannata da Poseidone ad essere divorata da un mostro marino per punire il padre, Laomedonte, il re di Troia, reo di non aver ripagato i suoi debiti con il dio del mare e con Apollo che invece lo avevano aiutato ad erigere le mura della città. Eracle a differenza del suo bisnonno, venne inghiottito dal mostro per fuoriuscirne vittorioso dopo tre giorni. Secondo alcuni filoni narrativi, come ricompensa dell’eroica impresa, Esione venne data in sposa al suo salvatore.
La somiglianza tra i due miti è davvero forte tanto da far emergere un collegamento ancora più antico e misterioso che si perde nella notte dei tempi ma che sappiamo essere parte della cultura babilonese, il mito in questione è la vicenda di Marduk. Marduk era un dio minore del culto babilonese che sfidò apertamente Tiamat, mostro marino e rappresentazione della dea creatrice dell’universo e del caos, Ishtar. Durante uno scontro epico Marduk riuscì ad incatenare Tiamat ad uno scoglio usando una rete che ne annulla i poteri, tuttavia l’eroe viene inghiottito dal mostro. andromeda3Marduk lotta contro TiamatDopo tre giorni, Marduk uscì vittorioso dal ventre di Tiamat. Le versioni di questo mito sono nebulose e talvolta contrastanti, ma un indizio dovrebbe farci fare alcune riflessioni: dopo esser stato divorato, passarono tre giorni e l’eroe risorse nella gloria.
Una sintesi del genere è ricorrente in molte culture e religioni, compresa quella cristiana. Una storia antica quindi quella che lega Perseo ed Andromeda ad i giorni nostri, tuttavia la costellazione della principessa acquista un significato ancora più importante per noi che viviamo in quest’epoca contemporanea. La principessa, di grande bellezza, custodisce infatti un tesoro di immenso valore, una galassia, nota con vari nomi la cui storia è per noi specchio della nostra casa stessa, la via lattea ma rappresenta anche il futuro prossimo, in quanto si stima che tra qualche miliardo di anni, queste due galassie si fonderanno insieme.
andromeda4Edwin HubbleUna galassia i cui misteri, tuttavia, hanno iniziato a svelarsi solo da un secolo a questa parte sconvolgendo però la concezione del universo allora conosciuto. Poco più di un secolo fa, infatti, il 26 aprile 1920, nel auditorium “Baird” del museo “Smithsonian”, Harlow Shapley e Heber Curtis presentarono delle ricerche tecniche riguardo alla struttura a grande scala del universo. Passato alla storia come il “Grande dibattito”, la discussione pubblica tra i due studiosi doveva definire se le nebulose (così venivano chiamate ancora le galassie) come quella di Andromeda fossero all’interno del nostro universo (la Via Lattea) oppure al suo esterno.
Shapley riteneva che la Via Lattea fosse la totalità dell’universo e che gli oggetti nebulosi spiraliformi allora osservati (come la nebulosa di Andromeda) fossero all’interno della nostra galassia. Curtis invece riteneva che la nebulosa di Andromeda e altre nebulose simili fossero entità distinte ed esterne alla Via Lattea e le rinominò Galassie o universi isola. Inutile dirlo, ma non ci fu una conclusione netta durante il dibattito.
Solo pochi anni dopo, un astronomo di talento risolse il mistero. andromeda5Telescopio Hooker - Monte WilsonEdwin Hubble, nel 1924 era allora poco più che trentenne, dall’osservatorio di monte Wilson, dotato del telescopio Hooker, un riflettore di 100” (circa 2,5m di diametro) che per l’epoca era il telescopio più potente al mondo, riuscì a misurare la distanza delle stelle cefeidi presenti nella nebulosa di Andromeda, nota anche come M31. Grazie ad una serie di osservazioni riuscì a dimostrare che la galassia di Andromeda era posta al di fuori della Via Lattea. La tecnica adottata era per l’epoca ancora recente e frutto degli studi di una donna che ha reso un servizio fondamentale alla scienza, Henrietta Swan Leavitt la quale, studiando le piastre fotografiche che pervenivano al centro di calcolo di Harvard, strutturò una correlazione matematica tra la luminosità apparente di una stella di tipo cefeide ed il suo periodo. La stella cefeide è un corpo celeste di tipo variabile, cambia cioè la sua luminosità nel tempo con un effetto pulsante. Henrietta era riuscita quindi a definire che la pulsazione era collegata alla luminosità dell’astro e pertanto, misurandone la luminosità apparente da terra, diveniva possibile stimarne la distanza con precisione. Proprio questa tecnica portò Hubble a scoprire che la nebulosa di Andromeda era un “universo isola” o come lo chiamiamo oggi, una galassia distante anni luce da noi. L’astronomo, tuttavia, non si fermò a questa sconvolgente rivelazione che fece diventare la terra un granello di sabbia sperduto in un universo di universi. Hubble capì e definì inoltre che il cosmo non solo è immenso, è anche in continua espansione.
L’espansione è infatti dimostrata dallo spostamento verso il rosso degli spettri di luce emessi dai corpi più lontani. Considerando infatti che gli astri sono tutti della stessa natura e conoscendo grazie alla spettroscopia quella che viene definita classe spettrale degli oggetti celesti, Hubble aveva osservato che gli oggetti più lontani appaiono con uno spettro luminoso spostato verso il rosso, il così detto RedShift dovuto all’effetto doppler.
Essendo che il colore rosso ha lunghezza d’onda maggiore rispetto al blu, uno spostamento di tal fatta indica un allontanamento degli oggetti osservati. Queste rivelazioni fecero presto capire agli astronomi che tutto ciò che noi possiamo arrivare ad osservare è posto entro un limite, un orizzonte spazio-temporale impossibile da superare. Il motivo di questo limite è dettato dalla finitezza della velocità della luce e dall’età dell’universo, non ci è possibile fare osservazioni al di là dell’orizzonte dato dall’età del universo moltiplicata per la velocità della luce. Grazie a studi recenti, in particolare grazie al satellite ESA-Planck, è stato possibile rilevare il “Fondo Cosmico a Microonde” o detto anche CMB. Si tratta del segnale più antico mai rilevato e mai rilevabile. È il segno lasciato dai fotoni risalenti a 380’000 anni dopo il Big-Bang. Questo segnale, per arrivare ai nostri strumenti, ha impiegato circa 13,8 miliardi di anni, motivo per cui le onde luminose, a causa dell’effetto doppler, si sono via via allungate fino a diventare micro-onde, una radiazione elettromagnetica detta di fondo perché pervade tutto lo spazio attorno a noi. La sua scoperta, del tutto casuale, è stata fatta ai laboratori Bell nel 1964 da Arno Penzias e Robert Wilson che stavano facendo studi di tutt’altra natura.
andromeda6Fondo Cosmico a microonde - ESA PlanckConsiderando quindi che la nostra stella, il Sole ha solo 4,6 miliardi di anni, è possibile capire allora perché guardando verso i confini dell’universo vediamo un tempo antico in cui le stelle non sono ancora formate, non perché non lo siano tutt’oggi, bensì perché sono troppo lontane per poterle vedere accese. andromeda7Galassia Gn-z11 - Hubble Space TelescopeNegli anni passati il telescopio spaziale Hubble si è spinto fino ai limiti delle sue capacità, permettendoci di osservare uno degli oggetti noti più antichi, una galassia in formazione di circa 400 milioni di anni di età. Nota come Gn-z11, grazie ad uno studio indipendente guidato dall’università di Tokyo, grazie ai dati del osservatorio Keck-I sito alle Hawaii sul monte Mauna Kea, è stato possibile studiarne lo spettro di emissione. Studiando l’emissione ultravioletta della galassia è stato possibile individuare le “firme” lasciate dalle molecole di carbonio ed ossigeno, individuabili nonostante il redshift. Incrociando questi dati con l’analisi spettrale, osservando il forte spostamento della sorgente luminosa verso il rosso, come appare nella foto, è stato possibile definire che l’oggetto dista 13,4 miliardi di anni dalla terra e pertanto, nell’immagine, ha solo 400 milioni di anni.
Lanciato nel 2021 e reso operativo dal 2022, il successore del telescopio spaziale Hubble (HST) si chiama James Webb Space Telescope (JWST) ed uno dei suoi obiettivi è quello di superare, grazie ad uno specchio 3 volte il diametro di HST ed a strumentazione molto più avanzata e sofisticata, il lavoro fatto dal suo predecessore. Grazie all’impiego del JWST, i ricercatori hanno scoperto due galassie primordiali insolitamente brillanti, una delle quali contiene la luce stellare più lontana mai osservata. Si stima che quelle galassie ebbero origine tra 350 (Z-10,5) e 450 (Z-12,5) milioni di anni dopo il Big Bang.
andromeda8Abell 2744 GLASS; JWST, NASA, ESA, CSA, Tommaso Treu (UCLA)Grazie a questi strumenti sempre più evoluti, possiamo analizzare l’universo che forse infinito; tuttavia, noi possiamo studiarlo solo fino al nostro orizzonte.
Un orizzonte che rispetto agli antichi babilonesi e greci si sposta sempre più lontano.

 

di Fabrizio Benetton

 

Bibliografia:
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
Storie del Cielo, Il giro del cosmo in 365 notti, seconda ed., di Ilaria Sganzerla
I miti Greci, di Robert Graves, ed. Longanesi
INAF – Istituto Nazionale Astro Fisica

Immagini:
Wikipedia – the free enciclopedia
Hubble Space Telescope
ESA-Planck
NASA, ESA, CSA, James Webb Space Telescope
Atlascoelestis.com – di Felice Stoppa

Perseus - Perseo

Perseus1San Lorenzo trascinato sulla graticola, nell'interpretazione di Pietro da CortonaFaceva caldo, l’umidità era opprimente, lo spazio delle catacombe era angusto e l’aria sembrava mancare. Il poco ossigeno veniva in parte rubato dalle fiaccole necessarie a celebrare il rito che sarebbe stato la loro condanna. Era l’inizio di agosto, Roma, anno 258 d.C. e l’imperatore Valeriano aveva appena decretato l’uccisione di vescovi, presbiteri e diaconi, quando papa Sisto II ed i suoi diaconi vennero sorpresi e catturati. Per il vescovo di Roma e quattro diaconi, la morte venne il 6 di agosto. L’arcidiacono Lorenzo, incaricato delle opere di elemosina, fu risparmiato con il compito di presentarsi alle autorità romane, tre giorni dopo, con il tesoro della Chiesa. L’uomo, senza lasciarsi scoraggiare, distribuì tutti i beni agli indigenti ed il giorno stabilito si consegno, seguito da una folla di povera gente, affermando che i poveri erano il vero tesoro, un tesoro eterno.
L’arcidiacono Lorenzo venne quindi arso vivo sulla graticola il giorno 10 di Agosto. Tra verità e leggenda, si narra quindi che le faville del rogo salirono in cielo e da allora, ogni anno, il 10 di agosto, il cielo si riempie di faville luminose, note anche come lacrime di San Lorenzo, a ricordo del santo martirizzato.
Al giorno d’oggi, forse la leggenda non incanta più come nei secoli passati, tuttavia, c’è del vero e del magico, come in tutte le leggende. Lo sanno anche i bambini infatti che il 10 di agosto è una notte in qualche modo speciale, una notte dove, nuvole permettendo, uno sguardo al cielo è d’obbligo. Una notte in cui, il cielo si riempie di stelle cadenti. Il cielo si riempie di desideri. Ci sono però dei dettagli tuttavia che non ci vengono solitamente raccontati, se non dopo aver conosciuto qualche astrofilo. Le stelle cadenti della notte di San Lorenzo, sono in realtà della polvere, o meglio dei corpuscoli lasciati da una cometa. Da secoli infatti, ogni 133 anni circa, una cometa di circa 10km di diametro al nucleo, nota come cometa di Swift-Tuttle, incrocia il percorso della terra, riempiendolo di piccoli detriti che poi, anno dopo anno, in estate, precipitano sul pianeta azzurro, lasciando delle scie, che durano pochi istanti, ma che fanno stupire e meravigliare tutti noi. Perseus2Perseo - Hevelius, Uranographia, XVII sec.Se poi si vuole gustare al meglio l’evento, non basta trovare una buona postazione al buio ed al riparo da luci moleste, serve anche sapere dove guardare. Ebbene sì perché le meteore, non compaiono da punti qualsiasi del cielo, bensì tendono a comparire tutte da una zona definita del cielo, nota come quadrante e che nel nostro caso, è la costellazione del Perseo.
Già abbiamo speso molte parole per narrare le vicende di questo eroe mitologico, legato alla storia di Cefeo e Cassiopea, tuttavia, la sua storia non si limita a quell’episodio. Figlio di Zeus e Danae, principessa di Argo, venne rinchiuso, su ordine del nonno Acrisio, assieme alla madre, dentro un’arca di legno e sospinto tra le onde del mare. Salvati da un pescatore, vennero portati da re Polidette, il quale li accolse nella sua casa. Con il tempo Perseo crebbe divenendo un giovane straordinario. Perseus3Perseo Uccide Medusa, Palazzo Farnese, Roma, affresco del 1595 di Annibale CarracciPurtroppo anche il desiderio di Polidette per Danae cresceva, tanto da volerla sposare. Per salvare la madre, Perseo si offrì di portare in dono al re qualunque cosa egli chiedesse, fosse anche la testa della gorgone Medusa. Manco a dirlo, il re accettò, convinto così di liberarsi del giovane guerriero e di poter sposarne la madre. Medusa era infatti una creatura orrenda, con serpenti per capelli, denti lunghi ed affilati ed una lingua orribile e sporgente. Era così brutta da pietrificare chiunque la guardasse. Purtroppo per Polidette, il giovane guerriero venne affiancato ed istruito dalla dea Atena che era nemica dichiarata di Medusa. La dea condusse Perseo sull’isola di Samo dove istruì il giovane a distinguere il mostro dalle sue sorelle ed inoltre lo consiglio su come affrontare la gorgone. Il trucco stava nel non guardare Medusa ma la sua immagine riflessa, a tale scopo la dea donò al suo protetto un lucentissimo scudo. La preparazione fatta con Atena non era tuttavia ancora sufficiente per superare l’arduo compito. Perseo doveva dotarsi ancora di tre oggetti magici: i sandali alati di Ermes, una sacca magica dove custodire la testa del mostro e l’elmo di Ade che poteva rendere invisibili. Tali oggetti magici erano custoditi dalle ninfe Stigie, di cui nessuno sapeva dove trovarle se non le Graie. Tre sorelle che avevano un occhio ed un dente solo in comune e che si scambiavano. Cogliendo l’occasione di un passaggio di mano, Perseo si appropriò del dente e dell’occhio dichiarando che li avrebbe restituiti solo dopo aver saputo dove trovare le ninfe. Una volta entrato in possesso degli oggetti necessari, l’eroe si recò volando verso il luogo dove le gorgoni riposavano.
Perseus4Scudo con testa di Medusa, Caravaggio, 1598, Galleria Uffizi a FirenzeUsando lo scudo come specchio e con la mano guidata da Atena, recise la testa di Medusa in un sol colpo. Dal corpo del mostro uscirono, con grande sorpresa di Perseo, un cavallo alato, Pegaso, ed un guerriero di nome Crisaore. Messa la testa del mostro nella sacca, Perseo prese il volo e sorvolando le terre del nord africa si accorse della bella fanciulla incatenata su di un o scoglio. La bella Andromeda. Come sappiamo Perseo uccise il mostro marino che insidiava la fanciulla e la liberò in cambio della promessa di poterla sposare. Avendo però la regina Cassiopea tradito la fiducia del genero, avendo tramato per farlo morire, l’eroe, dopo una lotta epica contro decine di guerrieri, prese con se Andromeda, la sua sposa, e la portò via volando, portandola sull’ isola dove insieme fondarono la città dei Micene.
Ancora oggi, il guerriero ci mostra con orgoglio, dal cielo stellato, il suo terribile trofeo: Algol. La stella del demonio, dal nome arabo Al-ghul, deve la sua fama fin da tempi antichi ad una sua peculiarità, la sua luminosità infatti cambia ed ogni tre giorni, per una decina di ore, riduce la sua luminosità in maniera importante, tanto da farle meritare l’appellattivo di demoniaca. Perseus5Curva di luce di AlgolA chiarire che dietro il singolare fenomeno si cela un fenomeno fisico, è stato un giovane e prodigioso astronomo di cui abbiamo già fatto menzione: John Goodricke. Morto nel 1786 all’età di 22 anni a causa di una polmonite contratta durante le sue osservazioni notturne, a 19 anni era stato insignito dalla Royal Society della medaglia Copley per la sua importante scoperta scientifica. Goodricke fu infatti il primo a capire e dimostrare che la stella Algol è in realtà una stella binaria ad eclissi. Si tratta cioè di due stelle, legate gravitazionalmente a causa della breve distanz che le separa. Note come Algol A ed Algol B (dove la stella A è la più luminosa), quando la stella B, per pura fortuità, si frappone tra la Terra ed Algol A, si può osservare un calo di luminosità. Se solo il piano dell’orbita fosse ruotato di qualche decina di grado, Algol diventerebbe una semplice stella binaria con un ciclo molto breve e noi potremmo divertirci a strizzare gli occhi all’oculare del telescopio nel tentativo di separarle, ma se così fosse, l’astro perderebbe la sua magia, che da secoli ci accompagna e ci narra le gesta di un eroe leggendario.
Tra sacro e profano, la costellazione di Perseo ha molto da raccontare, racchiude in se la magia del cielo, la magia che ci fa alzare gli occhi e ci fa sognare ed esprimere desideri. Tra scienza e leggenda, Perseo ci guida nei secoli lungo una storia che ha davvero del mitico.

 

di Fabrizio Benetton

 

Bibliografia:
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
Storie del Cielo, Il giro del cosmo in 365 notti, seconda ed., di Ilaria Sganzerla
I miti Greci, di Robert Graves, ed. Longanesi
Stories of Astronomers and Their Stars – David Falkner – The Patrick Moore Practical Astronomy Series – Springer book

Immagini:
Wikipedia – the free enciclopedia
Atlascoelestis.com – di Felice Stoppa
https://ualr.edu/tv/2014/10/15/a-demon-in-the-dark/

Cassiopea

Cassiopea1Cassiopeia - Hevelius, Uranographia, XVII sec.Tra le costellazioni del cielo, molte presentano enigmi e sfide culturali da dirimere, ma ce n’è una che è particolarmente affascinante: Cassiopea. Come abbiamo avuto modo di scoprire parlando di Cefeo, Cassiopea fa parte di un gruppo di sei costellazioni legate tra loro da un’unica narrazione. Cassiopea era la bellissima moglie di Cefeo, a causa della sua superbia fece adirare le nereidi, le ninfe del mare, le quali supplicarono Posidone di punire quelle terre. Cefeo, incapace di contrastare Cetus, il mostro marino inviato dal dio dei mari, si rivolse ad un oracolo. 

L’oracolo di Ammone sentenziò che avrebbero posto fine alla sciagura se la figlia di Cassiopea, Andromeda, fosse stata offerta in pasto al mostro.
(Apollodoro, Biblioteca, II, 4, 3)

Cassiopea2Il re Cefeo e la regina Cassiopea ringraziano Perseo per aver liberato Andromeda. Pierre Mignard - LouvreCome indicato da Ammone, il re fece incatenare la sua unica figlia Andromeda ad uno scoglio, sacrificandola così al mostro marino. Il mito poi ci narra di un eroe leggendario, Perseo, il quale salvò la fanciulla dopo aver ottenuto il permesso di poterla sposare. Se il re Cefeo non fa una bella figura (non ha saputo contrastare il mostro, si è reso disponibile a sacrificare la sua unica figlia per poi ricorrere ad un guerriero per salvarla), Cassiopea interpreta una parte ben peggiore. La vanitosa regina infatti non solo è la causa dell’ira divina che stravolge il suo regno, bensì, dimostra una riconoscenza davvero curiosa al salvatore di sua figlia. Una volta in salvo, Andromeda insistette perché le nozze avessero subito luogo. Cassiopea3Perseo combatte contro Fineo - Luca Giordano - 1470 - Palazzo reale di GenovaDurante la festa di nozze, Agenore, fratello di re Belo e pretendente alla mano della fanciulla, convocato espressamente dalla regina, fece irruzione con un gruppo di armati (secondo altri filoni narrativi l’irruzione viene guidata da Fineo, lo zio della sposa). Al grido della regina “Perseo deve morire” si scatenò una violenta battaglia. L’eroe riuscì ad avere la meglio solo ricorrendo alla testa di medusa e quindi trasformando tutti i presenti in pietra. Perseo, assieme alla sua sposa fuggi in una terra lontana, dove fondarono la città di Micene. Cefeo e Cassiopea furono invece posti in cielo da Posidone.

La posizione circumpolare della coppia regale non si deve al prestigio loro riconosciuto ma al fatto che per la metà di un anno stanno a testa in giu, in una posizione decisamente ridicola che rimarca agli uomini, come monito, il loro comportamento. Come si diceva all’inizio, la regina rappresenta più un antagonista delle fiabe che non una figura regale e degna di occupare un posto di primo piano nel cielo. Tutta questa narrazione stona tuttavia con quanto possiamo osservare nel cielo.

Cassiopea4Cefeo e Cassiopea nel cielo boreale - StellariumChi è abituato ad alzare gli occhi al cielo, sa bene che Cassiopea è in realtà un punto di riferimento molto importante per chi si vuole orientare. Le sue stelle sono facilmente riconoscibili anche dai meno esperti e sono molto luminose, molto più appariscenti di Cefeo ma anche di Andromeda e di Perseo. Le sue stelle principali, di magnitudine compresa tra il 2 ed il 3 la rendono facilmente riconoscibile anche sotto un cielo affetto da inquinamento luminoso. Assieme al grande carro, aiutano inoltre a determinare la posizione della stella polare.

Che sia l’appariscenza delle stelle a rappresentare la vanità della regina? O forse c’è dell’altro sotto? A questo punto bisogna tenere ben presente che la definizione della costellazione di Cassiopea è molto più antica del mito che invece risale a circa il XVII sec. a.C.. La costellazione potrebbe risalire ad un periodo in cui vigeva, come modello sociale il matriarcato e dove la fertilità femminile era venerata e rispettata essendo di fondamentale importanza per la sopravvivenza del gruppo stesso. Il mito risale invece ad un periodo in cui già vigeva un modello sociale di tipo patriarcale, dove la donna era relegata ad un ruolo di custode della casa e della famiglia, mentre le cose importanti erano in gestione agli uomini.
Questo ci da uno spunto di riflessione. Una delle ipotesi più suggestive identifica Cassiopea con la Grande Madre, divinità paleolitica che rappresenta la fertilità. La presenza in pitture o sculture arcaiche di segni a forma di V oppure di W a rappresentare la dea Madre potrebbero essere la correlazione tra il culto e la costellazione, la costellazione di una donna di straordinaria bellezza. Se da culti antichi, la forma della costellazione veniva identificata con la più importante divinità femminile, questo legame non poteva essere ignoto nel periodo ellenistico dove però, per sminuire l’importanza della figura femminile e della divinità, vennero associati anche caratteri di vanità e tracotanza. Sempre a tal proposito è da notare come il re Cefeo occupi un posto di maggior rilievo, essendo le sue stelle poste più a nord rispetto la consorte.

Cassiopea5Tycho Brahe - Castello di Skokloster - 1596La storia della costellazione, brilla però non solo per la sua particolare storia e simbologia. Viene di solito affiancata anche ad un nome illustre quale Tycho Brahe (1546-1601). Danese e di nobili natali, Brahe aveva fin da giovanissimo coltivato una vera passione per la matematica e l’astronomia, al punto da perdere il setto nasale durante un duello scaturito da un disaccordo riguardo ad una formula matematica. La sua passione lo aveva portato a condurre numerose ed assidue osservazioni fin da giovanissimo, rendendosi conto già a sedici anni dell’inadeguatezza degli allora strumenti di calcolo astronomici. Nel 1572 in particolare, un allora ventiseienne, scoprì una stella del tutto nuova nella costellazione di Cassiopea, evento impossibile nella concezione aristotelico-tolemaica del cielo che era considerato ancora all’epoca immutabile. L’evento osservato dal danese era in effetti una supernova, nota ancora oggi come stella di Tycho. Un altro evento, la scoperta di una cometa nel 1577 portarono il danese a porsi domande sulla robustezza del modello aristotelico che voleva il cielo suddiviso in sfere immutabili. Come poteva una cometa attraversarle? Per cercare di dare una risposta ai suoi dubbi, con l’aiuto del re danese Federico II, Brahe realizzò un opera del tutto nuova per l’europa del XVI secolo, un osservatorio astronomico stabile.
Il lavoro di Brahe fu coronato da un catalogo di 777 stelle del cielo boreale, catalogazione molto precisa ed accurata, ripetuta più volte, resa possibile dall’uso di uno strumento inventato dal danese stesso, che nei secoli successivi sarebbe divenuto uno strumento di fondamentale importanza per la navigazione: il sestante. Nonostante i suoi studi e le sue attente osservazioni, la profonda fede di Tycho lo portò a rimanere legato ad una concezione geocentrica del cosmo, nonostante egli fosse già al corrente delle teorie copernicane. Il lavoro di Tycho Brahe aveva però dato nuovo slancio ad una rivoluzione che passo dopo passo, generazione dopo generazione ha portato alla rivisitazione completa della visione del cosmo.
Ed è così che da un gruppetto di stelle, facilmente riconoscibili, l’umanità è passata dal crederle una manifestazione della dea madre, all’identificazione con una regina mitologica vanitosa fino allo studiarne la natura più intima, l’origine, la composizione ed il moto degli astri.
Quando vedrete di nuovo la W nel cielo, ricordatevi che la regina ha molto da raccontare.

 

di Fabrizio Benetton


Bibliografia:
Grande guida dell’astronomia, Libreria Geografica in collaborazione con A.S.I., edizione aggiornata 2020
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
Storie del Cielo, Il giro del cosmo in 365 notti, seconda ed., di Ilaria Sganzerla
I miti Greci, di Robert Graves, ed. Longanesi
Stories of Astronomers and Their Stars – David Falkner – The Patrick Moore Practical Astronomy Series – Springer book
L’atlante del cielo, di Edward Brooke-Hitching, ed. mondadori 2020
Cielo e Costellazioni, la scienza racconta i miti, Paolo Colona, irideventi edizioni, 2010

Immagini:
Wikipedia – the free enciclopedia
Atlascoelestis.com – di Felice Stoppa

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