In uno studio pubblicato oggi sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, un gruppo di ricercatori guidati dallo Space Telescope Science Institute (Stsci) ha sfruttato i dati raccolti dal satellite dell’Esa Gaia, nello specifico quelli della Data Release 3, e altri ottenuti dal telescopio spaziale Hubble (Nasa ed Esa) per studiare – all’interno dell’antichissimo ammasso stellare Messier 4 (M4), il più vicino alla Terra – qualcosa di insolito: un’enorme massa oscura al centro dell’ammasso, 800 volte più massiccio del nostro Sole, che potrebbe essere un buco nero di massa intermedia.
«Utilizzando gli ultimi dati di Gaia e Hubble», spiega Eduardo Vitral, primo autore dell’articolo e ricercatore presso lo Space Telescope Science Institute, «era impossibile distinguere tra una popolazione di resti stellari e una singola sorgente puntiforme più grande. Quindi una delle possibili teorie è che invece di essere tanti piccoli oggetti separati, questa massa scura potrebbe essere un buco nero di medie dimensioni».
Gli astronomi stanno cercando di risolvere il mistero dei buchi neri di massa intermedia da oltre due decenni. La maggior parte dei buchi neri che conosciamo sono i resti più piccoli di stelle giganti (fino a cento volte la massa del Sole) o i “nuclei” supermassicci di grandi galassie, con masse che possono arrivare a miliardi di volte quella del Sole. Con un “peso” compreso tra 100 e 1 milione di soli, i buchi neri di massa intermedia sarebbero l’anello di congiunzione tra le due tipologie.
«I dati Gaia della Data Release 3 sul moto proprio delle stelle nella Via Lattea sono stati essenziali in questo studio», sottolinea Timo Prusti, project scientist della missione Gaia. «I dati che verranno pubblicati in futuro e gli studi di follow-up dei telescopi spaziali Hubble e James Webb potrebbero fare ulteriore luce su questo mistero».
«Nel prossimo futuro», aggiunge Luigi Bedin, ricercatore all’Inaf di Padova e co-autore dell’articolo, «avremo modo di caratterizzare meglio questo eccesso di massa grazie a un’analisi di 120 orbite di dati Hubble e soprattutto grazie a nuove osservazioni del James Webb di M4 appena raccolte (lo scorso 9 aprile 2023, sotto il programma GO-1979, del quale sono il principal investigator), dati specificamente disegnati per questo tipo di survey, ma non utilizzati in questo lavoro».
Alla ricerca hanno partecipato anche Mattia Libralato e Andrea Bellini, due astronomi italiani ricercatori allo Stsci
Fonte: Media INAF