Quando ne parlammo per la prima volta su Media Inaf – era trascorsa meno di una settimana dalla sua rilevazione, avvenuta il 9 ottobre 2022 – lo chiamammo “il lampo gamma del secolo”. Man mano che accumulavano conferme della sua incredibile intensità, e soprattutto man mano che – con il trascorrere delle settimane, poi dei mesi – la sua luce residua (il cosiddetto afterglow) continuava a persistere a varie lunghezze d’onda, gli astronomi si sono poi spinti oltre, fino ad affibbiargli il soprannome “Boat”, acronimo per l’inglese brightest of all time: ovvero il più luminoso di tutti i tempi.
Stiamo parlando di Grb 221009A, il lampo di raggi gamma più luminoso mai registrato. Emesso a 2.4 miliardi di anni luce da noi dal collasso di una stella di grande massa in un buco nero, è un evento talmente energetico da mettere in crisi i modelli che descrivono questi fenomeni. Uno studio pubblicato ieri su Science Advances, guidato da Brendan O’Connor della University of Maryland e della George Washington University (Usa), propone però uno scenario che sembrerebbe riuscire a far tornare i conti: l’esplosione iniziale era orientata direttamente verso la Terra, sostengono gli autori, e trascinava nella sua scia una quantità insolitamente grande di materia stellare. Non solo: la sua conformazione era alquanto particolare, più complessa della forma a cono di gelato che di solito si associa ai getti relativistici.
«Il lento affievolirsi dell’afterglow non è caratteristico di un getto di gas molto collimato, e questo ci ha fatto supporre che ci fosse un’ulteriore ragione per l’intensità dell’esplosione. I nostri modelli matematici l’hanno confermato: il nostro lavoro», dice uno dei coautori dello studio, Hendrik Van Eerten della University of Bath (Regno Unito), «mostra chiaramente che il Grb aveva una struttura unica, con osservazioni che hanno gradualmente rivelato un getto stretto inserito in un flusso di gas più ampio, là dove normalmente ci si aspetterebbe un getto isolato».
«Questo evento ci ha aiutato a risolvere un mistero decennale. Di solito la radiazione che segue un lampo gamma scompare nel giro di qualche giorno», spiega a Media Inaf la seconda autrice dell’articolo, Eleonora Troja dell’Università di Roma Tor Vergata, «ma nel caso di lampi brillanti come Grb 221009A la vediamo persistere per mesi, se non anni. Questo comporta seri problemi energetici: anche se fossimo in grado di estrarre tutta l’energia di un buco nero, comunque non raggiungeremmo l’energia sprigionata da Grb 221009A. Grazie alle proprietà estreme di Grb 221009A siamo riusciti a comprendere che questa longevità della radiazione elettromagnetica era legata al getto relativistico e alla sua forma particolare, caratterizzata da ali molto ampie. Gran parte dell’energia però è concentrata in una regione molto stretta al centro del getto e questo riduce drasticamente il bilancio energetico dell’esplosione, permettendoci di rientrare nei limiti della nostra comprensione».
Allo studio ha preso parte anche il ricercatore dell’Inaf Roberto Ricci, occupandosi in particolare dell’analisi dei dati alle lunghezze d’onda radio, fondamentali per convalidare l’ipotesi che Grb 221009A sia stato un getto fuori dal comune.
Fonte: Media INAF