Galassie esagerate, già massicce nell’universo primordiale. La loro esistenza è la più spiazzante fra le tante sorprese che ci ha portato il James Webb Space Telescope nel corso del suo primo anno di attività. Parliamo di galassie da decine di miliardi di masse solari, osservate a un’epoca nella quale l’universo non aveva nemmeno 500 milioni di anni. Un po’ come entrare in un asilo nido e imbattersi in bebè che pesano mezzo quintale. Gli astronomi sono rimasti basiti: ce n’è abbastanza da mettere in crisi gli attuali modelli cosmologici e di formazione delle strutture.
Come spiegare questo eccesso di galassie cresciute precocemente? Una possibile spiegazione arriva ora da un team di astrofisici della Hebrew University, l’università ebraica di Gerusalemme. Illustrata in un articolo pubblicato a fine maggio su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, l’ipotesi dei ricercatori israeliani è che il processo di formazione di queste galassie sia stato molto più efficiente di quanto non avvenga di solito. In particolare, il processo di formazione stellare (starburst) sarebbe avvenuto senza innescare i tipici meccanismi retroattivi (feedback) che in condizioni normali moderano la conversione del gas in stelle, primo fra tutti l’espulsione di grandi masse di gas a seguito delle esplosioni di supernove. Venendo meno questo meccanismo di autoregolazione – si parla infatti di feedback-free starbursts – ecco che la formazione stellare sarebbe stato molto più efficiente.
A consentire l’assenza di feedback nelle galassie primordiali è una finestra d’opportunità (window of opportunity, la chiamano gli autori dello studio) di circa un milione di anni: un ritardo temporale che intercorrerebbe tra la formazione delle stelle massicce e la loro successiva esplosione come supernove. Ritardo reso possibile dall’alta densità del gas presente nell’universo primordiale: gas ancora privo degli elementi pesanti prodotti dalle stelle, e con una densità tale da rendere molto più rapido del normale il collasso che dà origine alle stelle. Anticipandone così la formazione, e consentendo – appunto – l’apertura della finestra temporale da un milione di anni di produzione sregolata, libera dal meccanismo di feedback.
«La pubblicazione di questa ricerca segna un importante passo avanti nella comprensione della formazione delle galassie massive primordiali nell’universo e senza dubbio darà il via a ulteriori ricerche e scoperte», conclude il primo autore dello studio, l’astrofisico Avishai Dekel, del Racah Institute of Physics della Hebrew University. «Confronteremo le previsioni del nostro modello con le nuove osservazioni del telescopio spaziale Webb, ma alcune sembrerebbero già confermate».
Lo scenario che prevede una finestra di opportunità in cui la formazione stellare può avvenire in assenza di feedback, sottolineano infine gli autori dello studio, potrebbe inoltre aiutare a sciogliere un ulteriore enigma: la sorprendente presenza di buchi neri supermassicci – da un miliardo di masse solari – osservati nel cuore delle galassie mezzo miliardo di anni più tardi.
Fonte: Media INAF