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Confermate le aurore infrarosse su Urano

Uno degli aspetti più insoliti di Urano è il suo campo magnetico, decentrato di un terzo del raggio del pianeta e inclinato di 59 gradi rispetto all’asse di rotazione del pianeta. Come se non bastasse, il pianeta rotola sul fianco rispetto al piano di rivoluzione attorno al Sole – l’asse di rotazione planetario è infatti inclinato di 98 gradi – e la magnetosfera che ne consegue è davvero particolare. A vederla da vicino, per la prima e unica volta, è stata la sonda Voyager 2 nel suo fly-by nel 1986, che più che fornire risposte però ha aperto il campo alle domande. Per quanto riguarda le aurore, un fenomeno che – nonostante le stranezze di Urano – ci si aspetta di vedere come negli altri pianeti del Sistema solare, la prima conferma in ultravioletto è firmata Hubble, nel 2011, mentre in infrarosso non era ancora arrivata. Fino a pochi giorni fa. Uno studio su Nature Astronomy ha analizzato osservazioni fatte con i telescopi Keck nel 2007, ben sedici anni fa, trovando righe di emissione dello ione idrogenonio H3+: la conferma che aspettavamo.

«I dati che abbiamo utilizzato risalgono alla fine del 2006», dice a Media Inaf  Emma Thomas, prima autrice dello studio e dottoranda alla Scuola di fisica e astronomia dell’Università di Leicester. «E in effetti un’analisi iniziale era stata fatta da Tom Stallard – coautore anche di questo studio – e aveva rivelato variazioni di intensità che, però, richiedevano ulteriori analisi circa la temperatura atmosferica e le densità delle colonne».

Urano e Nettuno sono pianeti insoliti nel Sistema solare, in quanto i loro campi magnetici sono sfasati rispetto agli assi di rotazione. Le aurore sono causate dall’interazione di particelle cariche e altamente energetiche con l’atmosfera, mentre queste vengono convogliate giù tramite le linee del campo magnetico del pianeta. Sulla Terra il risultato lo conosciamo bene e lo possiamo apprezzare direttamente, poiché causa emissioni di luce visibile. Su pianeti come Urano, invece, dove l’atmosfera è prevalentemente una miscela di idrogeno ed elio, le aurore emettono luce al di fuori dello spettro visibile, in ultravioletto e a lunghezze d’onda infrarosse. Sono state rilevate per la prima volta da alcuni strumenti a bordo di Voyager 2, mostrando – sia a lunghezze d’onda radio che ultraviolette – sensibili differenze rispetto a quelle osservate su Giove e Saturno. Le indagini sono poi proseguite con il telescopio spaziale Hubble, che nel 2011 ha identificato 15 emissioni aurorali in ultravioletto: 9 meridionali e 6 settentrionali. I dati raccolti dallo spettrografo infrarosso del telescopio Keck 2, invece, pur risalendo a quattro anni prima, sono stati sfruttati solamente ora.

Gli scienziati hanno analizzato lunghezze d’onda specifiche di luce emessa dal pianeta, nello spettro infrarosso. Hanno guardato in particolare la luce emessa da una particella carica chiamata idrogenonio (H3+), che varia in luminosità a seconda di quanto calda o fredda sia la particella e di quanto densa sia la porzione di atmosfera in cui si trova. In pratica, queste linee agiscono come un termometro all’interno del pianeta. La loro analisi dei dati ha rivelato aumenti significativi nella densità di H3+ nell’atmosfera di Urano non corrispondenti ad altrettanto significative variazioni di temperatura: un comportamento che lascia intuire che la causa sia, piuttosto, la ionizzazione prodotta dalla presenza di un’aurora infrarossa.

«La temperatura di tutti i giganti gassosi, compreso Urano, è di centinaia di gradi al di sopra di quanto previsto dai modelli, se consideriamo il solo riscaldamento del Sole, lasciandoci con la grande domanda di come mai questi pianeti siano molto più caldi del previsto», continua Thomas. «Per questo abbiamo dato spazio all’ipotesi che suggerisce che la causa del fenomeno sia la presenza di un’aurora, che genera e spinge il calore dall’aurora verso l’equatore magnetico».

Il metodo di analisi seguito dagli autori è simile a quanto fatto in precedenza con le osservazioni delle aurore nell’infrarosso su Giove e Saturno. Nonostante questo, le differenze fra i pianeti sono sostanziali: si possono apprezzare confrontando le immagini delle aurore di Giove e Saturno, in basso a sinistra, con quelle di una simulazione delle aurore di Urano nel 2021.

«Una delle differenze più evidenti tra le aurore di Giove e Saturno rispetto a quelle di Urano», dice Thomas, «è l’asimmetria nelle dimensioni e il fatto che, mentre le aurore di Giove e Saturno hanno tipicamente una forma ovale, nessun ovale aurorale è mai stato osservato su Urano. Le teorie attuali suggeriscono che le linee del campo magnetico su Urano si “avvolgono” attorno al pianeta, causando l’accensione e lo spegnimento delle aurore in determinati punti: un fenomeno che non vediamo su Giove e Saturno a causa dell’allineamento degli assi magnetici e di rotazione».

Un altro fattore importante da considerare per le osservazioni di aurore nell’ultravioletto e nell’infrarosso su Urano è che la principale fonte di particelle energetiche è il Sole, che è 19 volte più lontano dalla Terra. Di conseguenza, il segnale che vediamo dal pianeta è quasi cento volte più debole rispetto alle aurore nell’infrarosso di Giove. Se si aggiunge poi il fatto che Urano occupa solo lo 0,0006% del cielo notturno, si deduce che occorrono telescopi con una risoluzione molto alta, che sono stati costruiti solo negli ultimi 20 anni.

«Infine, l’ultimo ostacolo è stata la mancanza di tempo e di risorse per completare questo lavoro», spiega Thomas. «Negli ultimi decenni c’è stata molta attenzione su Saturno e Giove, grazie all’entusiasmante lavoro della missione Cassini e dell’attuale missione Juno. Urano non ha ancora avuto un orbiter tutto suo ed è stato visitato solo da Voyager II nel 1986. Pertanto, il focus principale sulle aurore dei pianeti esterni è stato su Saturno e Giove, anche se speriamo che con questa conferma Urano otterrà il tempo e la ricerca che merita».

Questo articolo, intanto, è la conclusione di trent’anni di interrogativi circa l’esistenza dell’aurora infrarossa su Urano, e ha aperto una nuova era di indagini sull’aurora del pianeta. Indagini che potrebbero anche aiutare a comprendere meglio il fenomeno dell’inversione dei poli magnetici sulla Terra. «Non ci molti studi su questo, al momento, e non sono noti gli effetti che potrebbe avere su sistemi come satelliti, comunicazioni e navigazione, che si basano sul campo magnetico della Terra. Ma l’inversione dei poli è un processo che si verifica ogni giorno su Urano a causa dello sfasamento fra asse di rotazione e asse magnetico. Per questo», conclude Thomas, «continuare a studiare l’aurora di Urano potrà dare un’indicazione su cosa possiamo aspettarci in una eventuale, futura inversione dei poli terrestri e su cosa significherà questo per il campo magnetico terrestre.

 

Fonte: Media INAF

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