Un gruppo di ricercatrici e ricercatori guidato dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) ha usato le misure infrarosse ad alta risoluzione spaziale dello strumento italiano Jiram (Jovian InfraRed Auroral Mapper) a bordo della sonda Nasa Juno per studiare la composizione superficiale di Ganimede, la maggiore delle lune del sistema di Giove e il satellite naturale più grande del Sistema solare. Con questo studio, pubblicato oggi sulla rivista Nature Astronomy, i ricercatori provano a dimostrare che anche Ganimede in passato potrebbe avere avuto un oceano a diretto contatto con un mantello, perciò potrebbe essere stato abitabile. Lo strumento Jiram, finanziato e supportato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi), è stato realizzato da Finmeccanica ed è guidato scientificamente dall’Inaf di Roma.
Nello specifico, su Ganimede sono state trovate tracce di sali cloruri e potenzialmente sali carbonati, incluse varianti ammoniate, oltre a composti organici come aldeidi alifatiche. Cosa vuol dire? «La potenziale presenza di sali ammoniati», spiega Federico Tosi, primo autore dell’articolo e ricercatore presso l’Inaf di Roma, «suggerisce che Ganimede, durante la sua formazione, abbia accumulato materiali sufficientemente freddi da condensare l’ammoniaca. Analogamente, la presenza di sali carbonati sarebbe dovuta all’accumulo originale di ghiacci ricchi di anidride carbonica. Come sulla Terra ed altri corpi planetari come Encelado, Europa e Cerere, la presenza di sodio in siti specifici è indicativa dell’interazione tra acqua liquida e materiale roccioso. Questa interazione potrebbe essersi verificata all’inizio della storia di Ganimede, quando le miscele di ghiaccio e roccia sperimentarono lo scioglimento del ghiaccio e l’acqua ed altri volatili primordiali si separarono dalle rocce. Le aldeidi, che svolgono un ruolo importante come molecole precursori prebiotiche, potrebbero essere state presenti in un antico ambiente idrotermale».
I dati infrarossi raccolti dallo strumento Jiram presentano la migliore risoluzione spaziale mai ottenuta finora, ovvero meno di un chilometro per pixel. «Questo tipo di analisi non era possibile con precedenti dati infrarossi telerilevati dalla missione spaziale Galileo, dal telescopio spaziale Hubble e dal Very Large Telescope, per via dei limiti sulla risoluzione spaziale e/o spettrale o sull’intervallo spettrale», specifica Tosi. Jiram ha coperto un intervallo ristretto di latitudini (da 10° nord a 30° nord) e un più ampio intervallo di longitudini (da -35° est a +40° est) nell’emisfero rivolto verso Giove, sorvolando una varietà di unità geologiche come terreni chiari solcati da faglie, terreni scuri ed ejecta di crateri da impatto.
Tosi sottolinea che «la composizione osservata da Jiram può variare a seconda del tipo di terreno: una maggiore abbondanza di sali ed organici non si riscontra necessariamente solo nei terreni scuri ma anche in alcuni terreni chiari in corrispondenza delle faglie, seppure con differenze composizionali tra diverse faglie, suggerendo che un processo endogeno come l’estrusione di liquido dal sottosuolo possa determinare la composizione osservata. Non tutti i terreni scuri appaiono ugualmente arricchiti di anidride carbonica, che pure suggerisce una distribuzione controllata da processi geologici».
I sali minerali e i composti organici identificati con la tecnica della spettroscopia sfruttata da Jiram su Ganimede, e la loro relazione con le caratteristiche geologiche dell’area esplorata, suggeriscono che questi siano il fossile di un esteso scambio tra acqua liquida e mantello roccioso avvenuto fino ad un certo punto della storia del satellite.
La composizione superficiale delle lune ghiacciate Europa e Ganimede può vincolare l’abitabilità di questi satelliti, noti per ospitare oceani interni di acqua liquida. «Nel recente passato di queste lune», aggiunge Tosi, «il liquido contenuto nel sottosuolo potrebbe essere occasionalmente emerso fino alla superficie, lasciando tracce della sua composizione chimica. Tuttavia, la combinazione di processi endogeni, cioè imputabili alla composizione genuina del liquido sotterraneo, e quelli esogeni, dovuti invece ad alterazione spaziale, complica lo studio della composizione superficiale: dato che Ganimede ha una crosta ghiacciata sostanzialmente più spessa di Europa, la composizione superficiale oggi osservata non è necessariamente rappresentativa della composizione interna e profonda».
Il 7 giugno 2021 la sonda Juno ha sorvolato Ganimede da una distanza minima di 1046 km. Poco dopo il massimo avvicinamento, lo strumento italiano Jiram ha acquisito immagini e spettri infrarossi della superficie del satellite. «Questi dati hanno raggiunto una risoluzione spaziale senza precedenti migliore di 1 km per pixel, tale da permettere di rivelare la composizione superficiale alla scala locale», commenta entusiasta Tosi.
Questi dati arrivano una decina di anni prima rispetto alle misure che i ricercatori si aspettano dalla sonda Juice dell’Agenzia spaziale europea lanciata lo scorso 14 aprile.
«Lo studio dimostra la complessità della chimica che ha luogo sulla superficie di Ganimede», dice Christina Plainaki, project scientist per Jiram dell’Asi. «I risultati aprono importanti prospettive interpretative in merito alle interazioni tra le superfici di questi corpi con i loro interni e l’ambiente spaziale. Il lavoro dimostra ancora una volta il grande valore scientifico della spettroscopia infrarossa, specialmente quando operata ad alta risoluzione spaziale. I risultati di Jiram anticipano le estese misure che verranno svolte con lo strumento Majis della missione Juice alla quale l’Italia ha fornito un contributo fondamentale».
Fonte: Media INAF