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Così è nata una stella di seconda generazione

Le stelle con un bassissimo contenuto di elementi chimici sono considerate le più antiche stelle della Via Lattea. Formatesi poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, un tempo piccolissimo rispetto all’età dell’universo, queste stelle sono veri e propri “fossili”, nelle cui atmosfere sono codificate le prime fasi dell’evoluzione chimica dell’universo.

La stella Smss 1605-1443, scoperta nel 2018, era identificata come una delle prime stelle della nostra galassia, ma la sua vera natura era ancora sconosciuta. Ora, grazie allo sforzo congiunto di diversi gruppi di ricerca europei e all’utilizzo dello spettrografo Espresso, in grado di operare con uno qualsiasi dei quattro telescopi Vlt, in Cile, è stato possibile comprendere l’origine quasi primordiale di questo gioiello dell’archeologia stellare.

«È stata una vera sorpresa scoprire che questa stella era in realtà una stella doppia (o binaria), cosa non prevista e che impone una revisione della teoria di formazione delle prime stelle», spiega David Aguado, ricercatore dell’Università di Firenze nel gruppo Nefertiti e primo autore dell’articolo che riporta il risultato, pubblicato oggi su Astronomy & Astrophysics.

Fondamentale è stato l’uso dello spettrografo Espresso che, grazie alla sua elevata precisione, ha permesso di seguire le piccole variazioni di velocità di questa stella dovute al suo moto orbitale intorno alla compagna, che rimane comunque sconosciuta. Queste stelle – dette in gergo Cemp-no, dall’inglese chemical enriched metal poor stars with no heavy elements – hanno un basso contenuto di ferro ma un alto contenuto di carbonio, e si pensa che provengano da materiale elaborato dall’interno delle prime stelle massicce ed espulso nella esplosione di supernova nelle prime fasi della formazione della Via Lattea. «Tutte le stelle più antiche sono Cemp-no e mi piace ricordare che con Piercarlo Bonifacio nel lontano 1997 abbiamo scoperto il prototipo di questa classe di stelle», sottolinea Paolo Molaro, astronomo all’Inaf di Trieste, coautore di questo lavoro e principal investigator del programma di ricerca.

L’alta risoluzione di Espresso ha consentito un’analisi dettagliata della composizione relativa degli isotopi del carbonio, che hanno fornito nuove informazioni sull’origine della stella. «La chiave ci è stata fornita dal rapporto tra carbonio-12 e carbonio-13», spiega Elisabetta Caffau, astronoma italiana che lavora all’Osservatorio di Parigi. «La quantità relativa di questi due isotopi dimostra che i processi interni della stella non hanno alterato la composizione dell’atmosfera, che rimane quindi assolutamente originale. È come avere un campione intatto dell’ambiente in cui questa stella si è formata decine di miliardi di anni fa».

«Questa scoperta è estremamente importante anche da un punto di vista teorico: chiarisce quali siano le caratteristiche delle prime supernove che hanno inquinato l’ambiente di formazione di questa stella con i loro prodotti chimici, ponendo fine a un lungo dibattito», conclude Stefania Salvadori, professoressa associata all’Università di Firenze e coautrice di questo lavoro.

 

Fonte: Media INAF

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