Due stelle di neutroni fanno un buco nero. Ma non subito. Nel processo di fusione, due stelle di neutroni si avvicinano ruotando sempre più velocemente fino a diventare un unico oggetto, un buco nero appunto, ed emettendo durante l’intero processo onde gravitazionali e lampi di raggi gamma. Questa sequenza di eventi che abbiamo visto riprodotta in diverse simulazioni negli ultimi anni, da quando eventi di questo tipo hanno cominciato a essere rilevati con gli interferometri per le onde gravitazionali, tuttavia, è una semplificazione di quel che accade. Anche perché quel che succede di preciso non è del tutto chiaro. Ad aggiungere un tassello, in un articolo pubblicato ieri su Nature e presentato durante il 241esimo incontro dell’American Astronomical Society – una conferenza che si sta tenendo in questi giorni a Seattle –, alcuni astronomi del Maryland (Usa). La scoperta, in particolare, riguarda l’emissione di lampi di raggi gamma brevi (short gamma ray burst, o Grb brevi) e quasi periodici subito dopo la fusione delle due stelle di neutroni: un tipo di emissione che, sebbene prevista dalla teoria, non era mai stata osservata prima. E che costituirebbe una prova inequivocabile di una brevissima fase di transizione, durante la fusione, in cui prende vita una stella di neutroni ipermassiccia. Per poi morire quasi subito, nel giro di pochi decimi di secondo. Tanto è il tempo di vita che le è concesso dal rapidissimo moto di rotazione attorno al proprio asse, che può arrivare a toccare le 78mila volte al minuto.
«La fusione di due stelle di neutroni può essere descritta in tre fasi: inspiral (letteralmente, di spiraleggiamento, ndr), fusione e post-fusione», spiega a Media Inaf Cecilia Chirenti, ricercatrice al Nasa Goddard Space Flight Center e all’università del Maryland e prima autrice dello studio. «Gli attuali rivelatori di onde gravitazionali sono sensibili alle onde gravitazionali emesse durante la prima fase di inspiral, mentre i segnali che abbiamo trovato noi sono compatibili con le simulazioni della post-fusione».
I segnali di cui parla Chirenti sono appunto i Grb, brevi lampi di radiazione gamma che vengono osservati dai satelliti in orbita bassa. Brillano in genere per meno di due secondi, ma sprigionano un’energia paragonabile a quella rilasciata da tutte le stelle della nostra galassia in un anno, e possono quindi essere rilevati a più di un miliardo di anni luce di distanza. Le simulazioni al computer delle fusioni fra stelle di neutroni mostrano che le onde gravitazionali presentano un improvviso salto di frequenza – superiore a mille hertz – quando le stelle di neutroni si fondono. Sono segnali troppo veloci e deboli per essere rilevati dagli osservatori di onde gravitazionali esistenti, ma questo salto potrebbe apparire anche nell’emissione di raggi gamma dei Grb brevi sotto forma di oscillazioni quasi-periodiche (Qpo). Prima d’ora, però, nessuno li aveva visti.
«Finora nessuno era stato in grado di rilevare questi segnali: sono quasi-periodici ad alta frequenza, e la maggior parte degli studi precedenti si era concentrata su processi diversi e cercando segnali di frequenza inferiore, senza successo. La ricerca di Qpo nei segnali di queste particolari sorgenti astrofisiche è complicata per diversi motivi», spiega Simone Dichiara, professore associato alla Penn State University e coautore dello studio. «Innanzitutto, la curva di luce può variare molto da un Grb all’altro, così come la sua durata (da pochi millisecondi a centinaia di secondi). Si tratta di un processo non “stazionario”, cosa che rende particolarmente difficile la ricerca di caratteristiche periodiche o quasi-periodiche e richiede tecniche studiate appositamente per cogliere le Qpo, come quella che abbiamo utilizzato per questa ricerca. A ciò si aggiungono altri fattori, come la luminosità del segnale o la sensibilità del rivelatore. La maggiore sensibilità che sarà raggiunta dalle missioni future rivelerà probabilmente molti altri eventi con Qpo e aumenterà le nostre conoscenze sulle stelle di neutroni ipermassicce».
I dati dei Grb analizzati dagli autori dello studio provengono dal programma Burst and Transient Source Experiment (Batse), uno strumento del Compton Gamma-ray Observatory attivo negli anni Novanta. La scelta di cercare fra questi vecchi dati non è un caso, perché lo strumento in questione, negli anni, ha rilevato circa 2700 Grb, acquisendo dati di altissima qualità: l’area collettrice del rivelatore era molto ampia e la risoluzione temporale eccellente.
Nello studio sono stati selezionati come possibili candidati circa 700 Grb brevi – la brevità è essenziale per trovare quelli prodotti in fusioni di stelle di neutroni – e luminosi. Ogni Grb è stato analizzato per decidere se le oscillazioni che mostrava contenessero solo rumore o se al rumore si aggiungesse anche del segnale. Alla fine, due fra i Grb brevi selezionati mostravano oscillazioni quasi-periodiche nell’ordine dei kilohertz, coerenti con le simulazioni delle onde gravitazionali emesse dalla fusione di due stelle di neutroni, e che prevedono la formazione di una stella di neutroni ipermassiccia per un brevissimo istante prima di collassare definitivamente in un buco nero. Oltre a segnalare la formazione di questa stella di neutroni straordinariamente pesante, le oscillazioni quasi periodiche portano anche informazioni sulla composizione delle stelle di neutroni, fondamentali perché in esse la materia si trova in uno stato che non può essere replicato nei laboratori sulla Terra.
«Lo studio di questi segnali fornisce importanti informazioni sulla natura delle stelle di neutroni ipermassicce che potrebbero formarsi dopo una fusione binaria di stelle di neutroni, come il raggio o la massa, che dipendono appunto dalle proprietà della materia del nucleo», dice Dichiara. «La scoperta di queste oscillazioni apre la strada a un approccio completamente nuovo che può essere utilizzato per vincolare questi parametri».
Gli autori stanno già progettando di applicare il loro metodo per studiare altri Grb brevi alla ricerca di stelle di neutroni ipermassicce e, in generale, nuove informazioni su questi eventi di fusione. In attesa che la tecnologia avanzi e consenta di rilevare gli stessi fenomeni anche con altri strumenti.
«I segnali che abbiamo trovato non sono rilevabili dagli attuali rilevatori di onde gravitazionali, perché le frequenze sono troppo alte», conclude Chirenti. «Dovremo aspettare 10-15 anni per la prossima generazione di rivelatori di onde gravitazionali a terra. Quindi, per ora, l’unico modo per vedere questi segnali sono i raggi gamma».
Fonte: Media INAF