Una meravigliosa biglia blu. Così appariva la Terra dallo spazio agli astronauti della missione Apollo 17: un pianeta avvolto dall’acqua degli oceani e accogliente per la vita. Non come Venere, sfera giallastra, inospitale e sterile. Eppure a segnare il diverso destino dei due mondi potrebbe essere una differenza in temperatura inizialmente molto ridotta, appena una manciata di gradi. Un fatto che ben rende l’idea di fragilità e precarietà del nostro pianeta.
Un’équipe di astronomi dell’Università di Ginevra e del Nccr PlanetS (Svizzera), con il supporto dei laboratori del Cnrs di Parigi e Bordeaux, è riuscito per la prima volta a simulare la dinamica completa del processo che può trasformare il clima di un pianeta da idilliaco e perfetto per la vita a quanto di più ostile si possa immaginare. Noto in inglese come runaway greenhouse process, è un “effetto serra galoppante” che si verifica quando i gas serra – e in particolare il vapor d’acqua – che si accumulano in atmosfera, impedendo la fuoriuscita nello spazio del calore irradiato, portano la temperatura del pianeta oltre una certa soglia, innescando una sorta di reazione a catena.
Presentati questo mese sulla rivista Astronomy & Astrophysics, i risultati ottenuti dai tre autori dello studio mostrano anche come, sin dalle fasi iniziali del processo, la struttura atmosferica e la copertura nuvolosa subiscano cambiamenti significativi, portando appunto a un effetto serra incontrollato e inarrestabile. Sulla Terra, un aumento della temperatura media globale di appena poche decine di gradi sarebbe sufficiente a innescare questo fenomeno, rendendo il nostro pianeta invivibile.
La teoria del runaway greenhouse process non è nuova. In questo scenario, appunto, un pianeta può evolvere da uno stato temperato e “paradisiaco” come quello della Terra a un vero e proprio “inferno”, con temperature superficiali superiori ai 1000 °C. La causa risiederebbe nell’accumulo di vapore acqueo, un gas serra naturale, che impedendo all’irradiazione solare assorbita dalla Terra di essere riemessa verso lo spazio come radiazione termica intrappola il calore, un po’ come se fosse una coperta isolante. Un pizzico di effetto serra, a dire il vero, è utile: senza di esso, il nostro pianeta avrebbe una temperatura media inferiore al punto di congelamento dell’acqua e diventerebbe, quindi, una palla coperta di ghiaccio impenetrabile. Ma un eccesso di effetto serra, con il calore che – favorendo l’evaporazione degli oceani – aumenta la quantità di vapore acqueo nell’atmosfera che a sua volta aumenta il calore, può avere effetti disastrosi.
«Esiste una soglia critica, per questa quantità di vapore acqueo, oltre la quale il pianeta non può più raffreddarsi», spiega il primo autore dello studio, Guillaume Chaverot, dell’Università di Ginevra. «Da quel punto in poi è una deriva inarrestabile, fino a quando gli oceani non sono completamente evaporati e la temperatura superficiale ha raggiunto diverse centinaia di gradi».
In precedenza, altri studi chiave in climatologia si sono concentrati esclusivamente o sullo stato temperato prima del runaway, o sullo stato non più abitabile dopo il runaway. «Questa è la prima volta in cui un team studia la transizione stessa con un modello climatico globale 3D e verifica come il clima e l’atmosfera si evolvono durante questo processo», sottolinea Martin Turbet, ricercatore presso i laboratori Cnrs di Parigi e Bordeaux, coautore dello studio.
Uno dei punti chiave dello studio descrive la comparsa di un pattern di nubi molto particolare, che aumenterebbe l’effetto serra incontrollato e renderebbe il processo irreversibile. «La struttura dell’atmosfera è profondamente alterata», nota Chaverot. «Fin dall’inizio della transizione, possiamo osservare alcune nubi molto dense che si sviluppano nell’alta atmosfera, dove sembrerebbe assente l’inversione termica che caratterizza l’atmosfera terrestre e che separa i suoi due strati principali – la troposfera e la stratosfera».
Questa scoperta è un tassello fondamentale per lo studio del clima anche su altri pianeti, e in particolare su quelli che orbitano attorno a stelle diverse dal Sole. «Studiando il clima di altri pianeti, una delle nostre motivazioni più forti è quella di determinare quanto siano potenzialmente in grado di ospitare la vita», spiega Émeline Bolmont, astrofisica co-autrice dello studio e direttrice del Life in the Universe Center (Luc) dell’Università di Ginevra, dove si conducono progetti di ricerca interdisciplinari all’avanguardia sulle origini della vita sulla Terra e sulla ricerca di vita altrove, sia nel Sistema solare che in altri sistemi planetari.
«Dai precedenti studi, sospettavamo già l’esistenza di una soglia di vapore acqueo, ma la comparsa di questo pattern di nubi è una vera sorpresa», continua Bolmont. «Abbiamo anche studiato in parallelo come questo pattern di nubi possa creare una firma specifica, o ”impronta digitale”, rilevabile durante l’osservazione delle atmosfere degli esopianeti». Una firma che, secondo Turbet, la prossima generazione di strumenti sarà in grado di rilevare.
Tornando al nostro pianeta in fragile equilibrio, gli autori dello studio, con i nuovi modelli climatici 3D, hanno calcolato che un piccolissimo aumento dell’irradiazione solare sarebbe sufficiente a innescare il processo irreversibile di effetto serra galoppante anche sulla Terra, rendendola inospitale come Venere e aprendo uno scenario apocalittico. «Supponendo che si verifichi l’esordio del processo di runaway qui sulla Terra, un’evaporazione di soli 10 metri della superficie degli oceani porterebbe a un aumento di 1 bar della pressione atmosferica a livello del suolo. Nel giro di poche centinaia di anni,raggiungeremmo una temperatura al suolo di oltre 500 °C. In seguito si arriverebbe addirittura a 273 bar di pressione superficiale e oltre 1500 °C, e tutti gli oceani finirebbero per evaporare completamente», conclude Chaverot, le cui ricerche si concentrano sul caso specifico della Terra e cercano di determinare se i gas serra possano realmente innescare un effetto serra incontrollato simile a quello che potrebbe verificarsi con un leggero aumento dell’irradiazione solare e, in caso positivo, se le temperature di soglia siano le stesse per entrambi i processi.
Per il momento, cercando di non far passare il nostro pianeta dalla padella alla brace, i governi dei vari Paesi si sono posti come obiettivo climatico quello di limitare il riscaldamento globale della Terra, indotto dai gas serra, a non più di 1,5 gradi entro il 2050. Durante l’ultima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop 28), in particolare, si è evidenziato che, per rientrare nel limite del riscaldamento globale di 1,5 gradi, è necessario ridurre il picco delle emissioni globali di gas serra del 43 per cento entro il 2030 e del 60 per cento entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019. Chiedendo di fatto all’umanità intera di agire in fretta per mitigare e frenare il cambiamento climatico sulla Terra.
Fonte: Media INAF