Pulsar gamma, le chiamano gli astrofisici. Vale a dire, stelle di neutroni in rapidissima rotazione che, un po’ come farebbe un faro, spazzano la galassia – e oltre – con fasci di raggi gamma, le onde elettromagnetiche di energia più elevata. Fino a quindici anni fa se ne conoscevano pochissime, tanto che le si chiamava per nome. C’era quella del Granchio (Crab), c’era quella delle Vele, c’era Geminga… si contavano sulle dita delle mani. Poi l’11 giugno del 2008 venne lanciato Fermi, un telescopio spaziale per raggi gamma della Nasa a forte partecipazione italiana. E da allora tutto è cambiato. Il catalogo pubblicato lunedì scorso su The Astrophysical Journal dal team di Fermi di pulsar gamma ne elenca oltre trecento.
Un incremento di quasi trenta volte. Ora le si identifica con anonime coordinate, quattro cifre per l’ascensione retta e quatto per la declinazione. E con la quantità sono aumentate anche la varietà e la possibilità di fare scienza. Non si tratta dunque “solo” di avere a disposizione un campione assai più ampio, che pure sarebbe già moltissimo, o di poter vedere la prima pulsar gamma extragalattica, scoperta proprio da Fermi nel 2015, ma anche di poter assistere a fenomeni prima pressoché sconosciuti. Fenomeni come le pulsar gamma al millisecondo (rappresentate nell’immagine qui sopra dai circoletti) appartenenti a sistemi binari (qui sopra, in giallo) del gruppo “aracneo” delle vedove nere o dei redbacks, che dopo aver rallentato nel tempo il loro periodo di rotazione, come farebbe una trottola, si sono ritrovate a disposizione la materia fornita dalle loro stelle compagne, potendo così riprendere a ruotare veloci – ancor più di quanto facessero prima.
Prendendo ancora in prestito un termine dal mondo dei ragni, avere a disposizione una fitta ragnatela di segnali regolarissimi – le pulsar forniscono un clock da far invidia a quelli degli orologi atomici, quanto a stabilità – che copre l’intera galassia apre, inoltre, la strada ad applicazioni altrimenti impensabili. Gli astrofisici le stanno usando, per esempio, per esperimenti basati sui pulsar timing arrays: reti di pulsar come quelle grazie alle quali lo scorso giugno è stato annunciato di aver colto tracce di onde gravitazionali a bassissima frequenza. In quel caso si trattava di radio pulsar, ma anche le pulsar gamma si stanno dimostrando utili allo scopo. «A differenza delle onde radio, che vengono piegate come la luce in un prisma mentre viaggiano verso la Terra, i raggi gamma ci raggiungono in modo diretto. Questo riduce i potenziali errori sistematici nelle misurazioni», osserva a questo proposito uno degli autori dello studio, Matthew Kerr, del Naval Research Laboratory statunitense.
«Un catalogo di quasi 340 pulsar (294 certi, perché visti pulsare, e gli altri in lista di attesa aspettando timing radio più preciso) è un risultato al di là di ogni più rosea aspettativa», dice a Media Inaf un’altra delle autrici dello studio, Patrizia Caraveo, dell’Istituto nazionale di astrofisica. «All’inizio della missione Fermi, quando di pulsar gamma ce n’erano una decina, immaginavamo che, se tutto fosse andato per il meglio, saremmo arrivati a cento, invece lo strumento Lat ci ha sorpreso dimostrandosi un eccellente cacciatore di pulsar. Ancora più straordinario è vedere che la curva con il numero degli oggetti in funzione del tempo continua a crescere. In altre parole, a 15 anni dal lancio Fermi continua a rivelare nuove stelle di neutroni, anzi, in alcuni casi è responsabile della loro scoperta. Infatti, la caccia alla controparte delle sorgenti Fermi non identificate ha portato alla scoperta di decine di nuove pulsar velocissime che, una volta caratterizzate in radio, hanno mostrato di pulsare anche in gamma. Altrettanto stupefacente è vedere la crescita delle pulsar radio quiete, le cugine di Geminga, che hanno toccato quota 70. Frutto di un mix di algoritmi, potenza di calcolo e determinazione della squadra dei cacciatori di pulsar che non si sono mai fatti spaventare dalle difficoltà legate all’esiguità del numero di fotoni gamma raccolti su periodi di tempo sempre più lunghi».
Squadra di cacciatori di pulsar della quale fanno parte numerosi ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica. Scorrendo l’elenco dei quasi 160 autori, oltre a Caraveo troviamo Marta Burgay, Alessandro Corongiu e Andrea Possenti dell’Inaf di Cagliari, Graziano Chiaro, Giorgio Galanti e Martino Marelli dell’Inaf Iasf Milano e Filippo D’Ammando, Marcello Giroletti e Monica Orienti dell’Inaf Ira di Bologna.
«Il terzo catalogo è frutto di un lunghissimo lavoro e non esisterebbe senza la tranquilla leadership di David Smith», ricorda Caraveo, «che ha dedicato anni a tenere traccia di tutte le analisi fatte e dei risultati ottenuti cercando di omogeneizzare il lavoro di diversi gruppi, convincendo altri a controllare curve di luce e tabelle senza fine. Per riconoscere il contributo di David, la collaborazione Fermi da deciso di fare uno strappo alla regola che vuole la lista degli autori in ordine alfabetico, e il catalogo 3PC è uno “Smith et al.”. Ma la pubblicazione, pur importante, non ha certo posto fine alla caccia a nuovi pulsar. Nel periodo intercorso tra la sottomissione del manoscritto alla pubblicazione, David ha aggiunto al suo database altri 10 pulsar che sono passati dalla lista d’attesa a quella degli oggetti confermati, portando il gran totale dei pulsar certificati a 304. Un numero che certamente crescerà ancora».
Fonte: Media INAF