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Febbre alle stelle: come misurarla con precisione

Gli astronomi studiano le stelle osservando i diversi colori della luce che emettono, colori che catturano e analizzano con la spettroscopia. Ora un team guidato da Étienne Artigau dell’Università di Montréal ha sviluppato una tecnica che utilizza lo spettro di una stella per tracciare le variazioni della sua temperatura al decimo di grado Celsius, su una serie di scale temporali.

«Seguendo la temperatura di una stella, possiamo imparare molto su di essa, come il suo periodo di rotazione, la sua attività stellare, il suo campo magnetico», spiega Artigau. «Una conoscenza così dettagliata è essenziale anche per trovare e studiare i suoi pianeti».

In un articolo che sarà presto pubblicato su The Astronomical Journal, Artigau e il suo team dimostrano l’efficacia e la versatilità della tecnica utilizzando le osservazioni di quattro stelle molto diverse effettuate con il Canada-France-Hawaii Telescope alle Hawaii e con il telescopio da 3,6 metri dell’European Southern Observatory (Eso) a La Silla, in Cile.

Gli scienziati hanno prima rivolto la loro attenzione agli spettri stellari per migliorare l’individuazione degli esopianeti utilizzando la velocità radiale. Questo metodo misura le lievi oscillazioni di una stella generate dall’attrazione gravitazionale di un pianeta in orbita. Più grandi sono le oscillazioni, più grande è il pianeta. Ma è difficile rilevare oscillazioni molto piccole e di conseguenza pianeti di bassa massa. Per superare questo problema, Artigau e il suo team hanno sviluppato una tecnica che sfrutta il metodo della velocità radiale e che analizza l’intero spettro di una stella e non solo alcune porzioni, come fatto in precedenza. In questo modo è possibile individuare pianeti piccoli come la Terra che orbitano attorno a stelle di piccole dimensioni. Artigau ha poi avuto l’idea di utilizzare una strategia simile per rilevare non solo le variazioni delle oscillazioni di una stella, ma anche la sua temperatura.

Le misurazioni della temperatura sono fondamentali nella ricerca di esopianeti, che vengono per lo più osservati indirettamente seguendo da vicino la loro stella. Negli ultimi anni, gli astronomi hanno dovuto affrontare un grosso ostacolo: come distinguere tra gli effetti osservabili di una stella e quelli dei suoi pianeti. Questo è un problema sia nella ricerca di esopianeti utilizzando la velocità radiale sia nello studio delle loro atmosfere utilizzando la spettroscopia di transito. «È molto difficile confermare l’esistenza di un esopianeta o studiarne l’atmosfera senza una conoscenza precisa delle proprietà della stella ospite e di come variano nel tempo», spiega Charles Cadieux, dottorando dell’Irex che ha contribuito allo studio. «Questa nuova tecnica ci fornisce uno strumento prezioso per garantire la solidità delle nostre conoscenze sugli esopianeti e per avanzare nella caratterizzazione delle loro proprietà».

La temperatura superficiale di una stella è una proprietà fondamentale su cui gli astronomi fanno affidamento perché può essere utilizzata per determinare la luminosità e la composizione chimica della stella. Nel migliore dei casi, la temperatura esatta di una stella può essere conosciuta con una precisione di circa 20 gradi Celsius. Tuttavia, la nuova tecnica non misura le temperature esatte, ma le variazioni di temperatura nel tempo, che può determinare con notevole precisione.

«Non possiamo dire se una stella ha 5.000 o 5.020 gradi Celsius, ma possiamo determinare se è aumentata o diminuita di un grado, anche di una frazione di grado: nessuno l’ha mai fatto prima», afferma Artigau. «È una sfida rilevare variazioni di temperatura così minime nel corpo umano, quindi immaginate cosa sia per una sfera gassosa con una temperatura di migliaia di gradi situata a decine di anni luce di distanza».

Per dimostrare che la tecnica funziona, i ricercatori hanno utilizzato le osservazioni effettuate con lo spettrografo SpiRou del Canada-France-Hawaii Telescope e con lo spettrografo Harps del telescopio da 3,6 metri dell’Eso. Nei dati acquisiti da questi due telescopi per quattro piccole stelle nelle vicinanze del Sole, il team ha potuto osservare chiaramente le variazioni di temperatura, attribuite alla rotazione della stella o a eventi sulla sua superficie o nell’ambiente circostante.

La nuova tecnica ha permesso di misurare grandi variazioni di temperatura. Per la stella Au Microscopii, nota per la sua elevata attività stellare, il team ha registrato variazioni di quasi 40 gradi Celsius.

Grazie a questa tecnica, è stato possibile misurare non solo i cambiamenti di temperatura molto rapidi associati a brevi periodi di rotazione di pochi giorni, come quelli di Au Microscopii e Epsilon Eridani, ma anche quelli che si verificano in periodi di tempo molto più lunghi, un’impresa difficile per i telescopi a terra.

«Siamo riusciti a misurare cambiamenti di pochi gradi o meno che si verificano su periodi molto lunghi, come quelli associati alla rotazione della stella di Barnard, una stella molto tranquilla che impiega cinque mesi per completare una rotazione completa», spiega Artigau. «Prima avremmo dovuto usare il telescopio spaziale Hubble per misurare una variazione così sottile e lenta».

La nuova tecnica ha anche permesso di rilevare piccole variazioni di temperatura sulla superficie delle stelle. Ad esempio, il team ha rilevato sottili variazioni di temperatura nella stella Hd 189733 in coincidenza con l’orbita del suo esopianeta Hd 189733 b, un gioviano caldo.

I ricercatori dell’UdeM sottolineano che la tecnica funziona non solo con SpiRou e Harps, ma con qualsiasi spettrografo operante nella gamma del visibile o dell’infrarosso. La tecnica innovativa sarà direttamente applicabile alle osservazioni di Nirps, uno spettrografo installato l’anno scorso nel telescopio Eso in Cile. Secondo i ricercatori, sarebbe possibile utilizzare questa tecnica anche con strumenti spaziali, come il James Webb Space Telescope.

«La potenza e la versatilità di questa tecnica ci permette di sfruttare i dati esistenti di numerosi osservatori per rilevare variazioni che in precedenza erano troppo piccole per essere percepite, anche su tempi molto lunghi», conclude Artigau. «Questo apre nuovi orizzonti nello studio delle stelle, della loro attività e dei loro pianeti».

 

Fonte: Media INAF

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