I buchi neri supermassicci, quelli che si trovano al centro della maggior parte delle galassie, continuano negli ultimi tempi a essere osservati dai telescopi moderni in epoche sorprendentemente precoci dell’evoluzione dell’universo. È difficile capire come questi buchi neri siano riusciti a diventare così grandi e così rapidamente. Ma con la scoperta – pubblicata oggi su Nature Astronomy – di un buco nero supermassiccio di bassa massa che si nutre di materiale a una velocità estrema, osservato appena un miliardo e mezzo di anni dopo il Big Bang, gli astronomi dispongono ora di nuovi, preziosi, indizi sui meccanismi di crescita rapida di questi buchi neri nell’universo primordiale.
Lo studio su Lid-568, questo il nome della galassia che ospita il precoce e vorace buco nero, è stato condotto da un team di ricercatori guidato da Hyewon Suh, astronoma dell’International Gemini Observatory/Nsf NoirLab. Gli autori della scoperta – fra i quali anche quattro ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica: Federica Loiacono, Giorgio Lanzuisi, Stefano Marchesi e Roberto Decarli – hanno utilizzato il James Webb Space Telescope (Jwst) per osservare un campione di galassie della survey Cosmos del Chandra X-ray Observatory. Si tratta di galassie molto luminose in banda X ma invisibili nell’ottico e nel vicino infrarosso. Non però del tutto invisibili per Jwst, la cui sensibilità senza rivali all’infrarosso gli consente – come vedremo – di rilevare anche emissioni debolissime come queste.
All’interno del campione, Lid-568 si distingueva per la sua intensa emissione di raggi X. «Il mio contributo», dice a questo proposito Lanzuisi, «ha riguardato proprio l’analisi della sua emissione in banda X. Essendo la sorgente nel campo Cosmos, le osservazioni profonde ottenute col telescopio Chandra – e lo spettro X di questa sorgente in particolare – erano nei nostri archivi già dal 2016, ma prima dell’osservazione con Jwst il redshift era molto incerto e, soprattutto, non conoscevamo la massa del buco nero al centro di questa galassia».
Osservare Lid-568 anche con Jwst ha però richiesto accorgimenti particolari. L’emissione X non era sufficiente a consentire di determinarne, da sola, la posizione esatta, e dunque a garantire una corretta centratura del bersaglio nel campo visivo del telescopio. Gli scienziati del team di supporto strumentale di Jwst hanno dunque suggerito a Suh e colleghi di utilizzare, al posto della tradizionale spettroscopia a fenditura, lo spettrografo a campo integrale (Ifu) di NirSpec: uno strumento di Jwst in grado di ottenere uno spettro per ogni pixel del campo visivo, invece di limitarsi a una fenditura ristretta.
«A causa della sua debolezza, l’individuazione di Lid-568 sarebbe stata impossibile senza Jwst. L’uso dello spettrografo a campo integrale», spiega un altro dei coautori dello studio, Emanuele Farina, astronomo dell’International Gemini Observatory/Nsf NoirLab, «è stato innovativo e necessario per compiere questa osservazione».
Lo strumento NirSpec di Jwst ha infatti permesso al team di ottenere una visione completa del bersaglio e della regione circostante, portando alla scoperta inaspettata di potenti deflussi di gas intorno al buco nero centrale. La velocità e le dimensioni di questi deflussi – outflows, in inglese – hanno portato il team a dedurre che una frazione sostanziale della crescita di massa del buco nero al centro di Lid-568 potrebbe essersi verificata in un singolo episodio di rapido accrescimento.
«Questo risultato, che si è rivelato un caso fortuito, ha aggiunto una nuova dimensione alla nostra comprensione del sistema e ha aperto interessanti strade di indagine», dice Suh. In particolare, lei e il suo team sono rimasti sorpresi nello scoprire che Lid-568 sembra nutrirsi di materia a una velocità quaranta volte superiore al suo limite di Eddington: una soglia legata alla luminosità massima che un buco nero può raggiungere, e alla velocità con cui può assorbire materia, mantenendo un equilibrio tra la forza gravitazionale – verso l’interno – e la pressione – verso l’esterno – generata dal calore della materia compressa in caduta verso il buco nero stesso. Quando gli autori dello studio hanno visto che la luminosità di Lid-568 era molto al di là di questa soglia, e dunque molto più alta di quanto teoricamente possibile, subito si sono resi conto di avere fra le mani dati sorprendenti.
«I dati in banda X sono stati cruciali nel derivare la luminosità totale emessa dal materiale che accresce sul buco nero, corretta per il forte assorbimento presente in questa sorgente molto rossa (in quanto “arrossata” dalla polvere) e compatta», sottolinea Lanzuisi. «Questa luminosità molto alta – circa mille volte quella della nostra intera galassia – insieme alla massa relativamente ridotta del buco nero – tre milioni di masse solari, un valore piuttosto piccolo per un buco nero supermassiccio – sono servite a determinare il tasso di accrescimento rispetto al limite di Eddington, risultato appunto oltre quaranta volte quello teorico. Le osservazioni multibanda dal medio infrarosso (con Spitzer) al millimetrico (con Alma) hanno poi permesso di confermare questa alta luminosità totale».
«Questo buco nero sta banchettando», riassume un’altra coautrice dello studio, Julia Scharwächter, dell’International Gemini Observatory/Nsf NoirLab. «Si tratta di un caso estremo che dimostra come un meccanismo di alimentazione rapida al di sopra del limite di Eddington possa rappresentare una delle possibili spiegazioni del perché vediamo questi buchi neri molto massicci già presenti così presto nella vita dell’universo».
Un risultato, dunque, che fornisce nuovi indizi sulla formazione dei buchi neri supermassicci a partire da “semi” fatti di buchi neri più piccoli, semi che secondo le teorie attuali deriverebbero dalla morte delle prime stelle dell’universo (semi leggeri) oppure dal collasso diretto di nubi di gas (semi pesanti). Finora queste teorie non trovavano conferme osservative. «La scoperta di un buco nero “super-Eddington” in accrescimento suggerisce che una porzione significativa dell’aumento di massa possa avvenire durante un singolo e rapido episodio di “nutrimento”, indipendentemente dal fatto che il buco nero abbia avuto origine da un seme leggero o pesante», conclude Suh.
La scoperta di Lid-568 dimostra anche che un buco nero può superare il suo limite di Eddington, offrendo per la prima volta agli astronomi l’opportunità di studiare come ciò avvenga. È possibile che i potenti deflussi osservati in Lid-568 agiscano come una valvola di sfogo per l’energia in eccesso generata dall’accrescimento estremo, impedendo al sistema di diventare troppo instabile. Per studiare ulteriormente i meccanismi in gioco, il team sta già pianificando ulteriori osservazioni con Jwst.
Fonte: Media INAF