Il nostro satellite naturale all’apparenza sembra un luogo tranquillo. Tuttavia, nonostante l’immagine di quiete e serenità che trasmette, la sua superficie è soggetta a stress di compressione globale che lo rendono un corpo dinamico e inquieto: sollecitazioni dovute al raffreddamento interno e stress mareali causati dal suo lento allontanamento dalla Terra – la cosiddetta recessione lunare – hanno prodotto e continuano a produrre una riduzione della sua circonferenza. L’effetto più evidente di questo raggrinzimento è la formazione, nei punti in cui le sezioni della crosta lunare si spingono l’una contro l’altra, di faglie tettoniche, ovvero creste rugose, formate per contrazione, e avvallamenti, formati per espansione, che sono spesso associate ad attività sismica.
Di questi squarci della superficie a oggi ne sono stati individuati diversi in diverse aree della Luna. Un team di scienziati guidati dallo Smithsonian Institution ha ora scoperto prove di simili deformazioni anche al polo sud lunare, alcune delle quali si trovano molto vicine a uno dei tredici siti proposti dalla Nasa per la missione con equipaggio Artemis III, rappresentando un pericolo per i futuri sforzi di esplorazione umana.
Le faglie in questione sono state individuate analizzando i dati raccolti dalla Narrow Angle Cameras (Nac) a bordo del Lunar Reconnaissance Orbiter (Lro), la sonda della Nasa che dal 2009 ci restituisce le immagini della Luna con la più alta risoluzione mai ottenuta dall’orbita del satellite. L’indagine, condotta dallo scienziato dello Smithsonian Institution Thomas Watters e colleghi, ha permesso di rilevare la presenza di 15 faglie già note, chiamate dagli addetti ai lavori scarpate lobate. Si tratta di lunghe strutture curvilinee di natura tettonica, risultanti dalla formazione di faglie inverse, il processo in cui una sezione di crosta (detta tetto) viene spinta sopra una sezione di crosta adiacente (detto letto). Insieme a queste strutture note, il team ha però individuato anche faglie precedentemente sconosciute. Una di queste, o meglio, un insieme di queste faglie, chiamato dai ricercatori de Gerlache cluster, ha catturato l’attenzione dei ricercatori. Il motivo? Si trova all’interno dell’area de Gerlache Rim 2, il sito proposto dalla Nasa per l’atterraggio dell’equipaggio di Artemis III, la missione che riporterà l’essere umano sulla Luna.
Il cluster de Gerlache, spiegano i ricercatori, è un insieme di faglie che si trovano entro i 60 chilometri dal polo sud lunare. All’interno del cluster, la scarpata più grande è lunga circa 4 chilometri e mostra un recente movimento di regolite verso il basso a livello di due depressioni, interpretate dai ricercatori come crateri da impatto di circa 160 m e 70 m di diametro rispettivamente.
Vista la vicinanza di queste faglie al sito di atterraggio di Artemis III, il team ha indagato la possibilità che queste deformazioni possano essere la diretta conseguenza di lunamoti, in particolare di uno dei più potenti mai registrati dai sismometri delle missioni dell’Apollo: il lunamoto superficiale conosciuto col nome in codice Smq n9.
Smq n9 sta per Shallow moonquake number 9, cioè lunamoto superficiale numero 9. I lunamoti superficiali sono sismi che si verificano vicino alla superficie della Luna, a circa centosessanta chilometri di profondità. Similmente ai terremoti, questi eventi sono causati da faglie all’interno della crosta. Ma a differenza delle scosse terrestri, che tendono a durare solo pochi secondi o minuti, i lunamoti superficiali possono durare ore, e possono essere molto più forti. Smq n9, in particolare, si è verificato il 13 marzo 1973 vicino al polo sud, con epicentro localizzato alle coordinate 84 gradi sud e 134 gradi est. Analizzando le mappe degli epicentri di tutti i 28 terremoti lunari registrati dal 1969 al 1977 dalle missioni Apollo, riviste utilizzando un nuovo algoritmo per reti sismiche, i ricercatori hanno scoperto che l’epicentro di Smq n9 si trova entro 24 chilometri dal cluster de Gerlache. È quindi plausibile, sottolineano i ricercatori, che le faglie di de Gerlache siano state la fonte del lunamoto Smq n9.
A questo punto i ricercatori si sono chiesti che cosa accadrebbe se si verificasse adesso un terremoto della potenza di Smq n9, paria circa 6 di magnitudo. E quale fosse il potenziale pericolo rappresentato da un simile evento.
Per rispondere a queste domande, hanno modellato la propagazione di onde sismiche lungo la serie di faglie in questione. Le simulazioni, una delle quali è mostrata nel filmato in basso, hanno generato lunamoti da moderati a forti, tutti in grado di estendersi fino a circa 50 chilometri di distanza. Ma non è finita. Le simulazioni hanno mostrato inoltre che alcune faglie sono particolarmente suscettibili a frane e instabilità, soprattutto là dove la regolite ha una bassa coesione. Ciò, secondo Nicholas Schmerr, professore presso l’Università del Maryland e coautore dello studio, significa chiaramente che un ipotetico terremoto superficiale al polo sud lunare potrebbe devastare ipotetici insediamenti umani sulla Luna.
«I nostri modelli suggeriscono che i lunamoti superficiali sono capaci di produrre forti scosse del terreno nella regione del polo sud lunare. Questi eventi possono essere prodotti da fenomeni di scivolamento di faglie tettoniche esistenti o di nuova formazione», spiega Thomas R. Watters, primo autore dello studio pubblicato su Planetary Science Journal. «La distribuzione globale delle giovani faglie inverse, il loro potenziale di essere attive e il potenziale di formarne nuove a causa della contrazione lunare in atto dovrebbero essere prese in considerazione quando si scelgono i siti degli avamposti permanenti sulla Luna», aggiunge lo scienziato.
L’obiettivo dei ricercatori è di continuare a mappare l’attività sismica del nostro satellite naturale, sperando di identificare più luoghi da inserire nella lista nera dei siti per l’esplorazione umana.
«Man mano che ci si avvicina alla data di lancio della missione Artemis con equipaggio, è importante mantenere i nostri astronauti, le attrezzature e le infrastrutture il più sicuri possibile», conclude Schmerr. «Questo lavoro ci sta aiutando a prepararci per ciò che ci aspetta sulla Luna, sia che si tratti di progettare strutture in grado di resistere meglio all’attività sismica della Luna o di proteggere le persone da zone potenzialmente pericolose».
Fonte: Media INAF