Un esperimento condotto in Italia, al Pitaevskii Center for Bose-Einstein Condensation di Trento, ha prodotto la prima prova sperimentale del decadimento del falso vuoto. Questo processo avviene attraverso la creazione di piccole bolle localizzate che, sebbene previste dalla teoria, fino a oggi non erano mai state “viste”. Ora, un gruppo di ricerca internazionale che coinvolge scienziati dell’Università di Trento e dell’Università di Newcastle (Regno Unito) ha osservato per la prima volta la formazione di queste bolle in sistemi atomici attentamente controllati. Pubblicati sulla rivista Nature Physics, i risultati offrono una prova sperimentale della formazione di bolle attraverso il decadimento del falso vuoto in un sistema quantistico.
Per capire cosa sia il falso vuoto e come siano riusciti a rivelarne il decadimento, Media Inaf ha raggiunto e intervistato il primo autore, Alessandro Zenesini, primo ricercatore all’Istituto nazionale di ottica del Cnr, specializzato nella fisica sperimentale degli atomi ultrafreddi. Attualmente Zenesini lavora presso il Pitaevskii Bec Center, dopo un dottorato a Pisa e undici anni passati tra Austria e Germania.
Zenesini, ci può spiegare cosa si intende per decadimento del vuoto?
«Nella fisica moderna il vuoto è qualcosa di più complicato di quello che il senso comune ci dice. Il vuoto è popolato di particelle che nascono e scompaiono in tempi brevissimi e il vuoto può essere visto come una particolare configurazione in cui le particelle elementari e i loro campi del Modello standard si sono “organizzate” dopo il Big Bang. È quindi lecito aspettarsi che questa configurazione possa non essere quella con energia più bassa e possa esserci un’altra configurazione con minore energia, il vero vuoto. Nella terminologia comune, il falso vuoto è una configurazione metastabile di alta energia e il vero vuoto è quella stabile di energia complessiva minima. La possibilità che il falso vuoto decada nel vero vuoto è stata studiata per anni, in similitudine al fenomeno del tunneling quantistico della singola particella, ma con la notevole complicazione che il vuoto non è un oggetto singolo che attraversa una barriera imposta, ma una configurazione composta da molte particelle e campi estesi spazialmente».
Lo studio riporta che il decadimento del falso vuoto avviene attraverso la creazione di piccole bolle localizzate. Cosa sono queste bolle?
«Il decadimento del falso vuoto non può avvenire con una riconfigurazione simultanea di tutto l’universo, perché violerebbe la conservazione dell’energia. Il decadimento avviene quindi in una regione limitata di spazio, almeno in una prima fase. La bolla appunto. Nella bolla, l’energia che si guadagna all’interno avendo creato il vero vuoto, viene controbilanciata dalla tensione superficiale della bolla che dipende dall’energia cinetica. Si ha quindi una configurazione con bolla che ha la stessa energia del sistema totalmente di falso vuoto. Questo permette un decadimento con conservazione dell’energia. Una volta nata la bolla, può espandersi senza barriere e occupare tutto il sistema. Una caratteristica interessante è che la bolla può nascere in un punto qualsiasi dello spazio e la nascita della bolla è un processo stocastico. Non si sa né quando né dove. Questo processo ha notevoli similitudini con quello che può essere osservato nell’acqua sopraffusa, cioè acqua purissima raffreddata sotto la temperatura di congelamento pur rimanendo liquida».
Come avete fatto a “vedere” le bolle? In cosa consiste il vostro esperimento?
«Nel nostro esperimento utilizziamo nuvole di atomi di sodio, circa un milione, raffreddati allo stato di condensazione di Bose Einstein. In questo stato si comportano all’unisono come piccoli magneti e l’equazione che regola la loro dinamica è analoga a quella di un campo quantistico, come il campo di Higgs per esempio. Abbiamo preparato gli atomi in una configurazione in cui erano allineati tutti verso l’alto, il nostro “falso vuoto” (vedi frecce nell’immagine d’apertura). Grazie al controllo estremamente preciso dei parametri sperimentali (campo magnetico, eccetera) possiamo modificarne le proprietà e renderlo più o meno metastabile. Il decadimento avviene quando, come detto, in una porzione spaziale della nuvola cambia l’orientamento di parecchi atomi e una bolla nasce (vedi frecce rosse nell’immagine). Bisogna considerare che il nostro processo di imaging distrugge la nuvola di atomi. Si tratta pur sempre di un oggetto quantistico che viene fortemente influenzato dall’osservatore. Dobbiamo ricreare una nuova nuvola ogni volta, con le stesse proprietà. Anche se non possiamo osservare la nascita e la dinamica della bolla come in un film, possiamo raccogliere tante immagini in cui una bolla è nata da poco o tanto tempo, può esserci o non esserci. Abbiamo misurato questa probabilità di apparizione al variare dei parametri sperimentali e corroborata dalle simulazioni numeriche del nostro sistema».
Quali ripercussioni può avere il fatto di aver validato l’esistenza del decadimento del vuoto?
«La teoria del decadimento di falso vuoto è nata con in mente processi cosmologici e la fisica delle alte energie, ma lì le energie in gioco sono ben lontane dalle capacità sperimentali attuali. Nel campo degli atomi ultrafreddi si ha invece un controllo così preciso e stabile dei parametri sperimentali che negli ultimi anni vari esperimenti sono stati in grado di studiare il Modello standard in situazioni dove non è importante quanto forte fai scontrare le particelle, ma quanto precisamente sai misurarne le proprietà. Nel nostro esperimento non osserviamo il decadimento di vuoto dell’universo, ma riusciamo a ricreare e studiare un processo analogo nel nostro emulatore atomico. Uno degli aspetti più spettacolari è che usiamo le stesse formule ed equazioni sviluppate in campo cosmologico, grazie alla collaborazione con Ian Moss dell’Università di Newcastle, noto cosmologo che in passato ha collaborato anche con Stephen Hawking».
Il comunicato stampa riporta che, secondo Moss, il decadimento del vuoto del bosone di Higgs altererebbe le leggi della fisica, producendo quella che è stata descritta come la catastrofe ecologica finale. C’è da preoccuparsi?
«Per questo possiamo stare tranquilli. Il nostro universo non collasserà a causa del nostro esperimento. I nostri risultati possono essere usati per raffinare le teorie esistenti o per svilupparne di nuove. In primis possono servire a capire meglio la dinamica degli atomi ultrafreddi e successivamente a migliorare le teorie cosmologiche attuali».
Fonte: Media INAF