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Sei pesi massimi all’alba dell’universo

Nel primo insieme di dati prodotto dal telescopio spaziale James Webb (le Early Release ObservationsEros), un team internazionale di astronomi  ha individuato alcune galassie molto massicce che mettono in discussione ciò che fino ad oggi è stato compreso circa le origini dell’universo. Le galassie in questione sono sei. Hanno tutte un massa individuale che supera quella di 10 miliardi di Soli messi assieme. Ma quel che più ha sorpreso gli astronomi è che risalgono a un’epoca in cui l’universo aveva circa 600 milioni di anni, grossomodo il 4 per cento della sua età attuale (stimata in circa 14 miliardi di anni); un’epoca in cui ci si attendeva di trovare giovani oggetti in formazione, non certo galassie così grandi.

«Questi oggetti sono molto più massicci di quanto ci si aspettasse», dice Joel Leja, astrofisico della Pennsylvania State University che ha modellato la luce di queste galassie e primo autore dello studio, pubblicato oggi su Nature, che descrive la ricerca. «In quella che in precedenza era considerata l’alba dell’universo, ci aspettavamo di trovare solo galassie piccole e giovani, ma abbiamo scoperto galassie mature come la nostra, la Via Lattea».

Le galassie sono state scovate nelle immagini multi banda ottenute dalla Near Infrared Camera (NirCam) nell’ambito del Cosmic Evolution Early Release Science program (Ceers). Il team di astronomi le ha selezionate tra oltre 42mila oggetti celesti identificando quelle il cui diagramma di distribuzione spettrale di energia – una funzione che rappresenta l’energia emessa da una sorgente in funzione della lunghezza d’onda – presentava due caratteristiche chiamate dagli astronomi break di Lyman e break di Balmer: due discontinuità nel grafico dovute rispettivamente all’assorbimento da parte dell’idrogeno neutro e dell’idrogeno atomico. L’analisi ha portato alla rivelazione di 13 galassie che presentavano questa doppia caratteristica. Il passo successivo è stato quello di determinare il redshift e la massa delle galassie. Ed è a questo punto che arriva la scoperta: sei delle tredici galassie erano oggetti con valori di redshift compresi tra 7.4 e 9.1, cioè oggetti risalenti a un’epoca in cui l’universo aveva tra i 500 e i 700 milioni di anni, e con masse – appunto – anche oltre 10 miliardi di volte superiori a quelle del Sole. Una, secondo gli autori, potrebbe essere addirittura circa cento miliardi di masse solari.

Si tratta di galassie talmente massicce da mettere in crisi la maggior parte delle teorie formulate per spiegare la nascita dell’universo. Se le conclusioni alle quali è giunto lo studio sono corrette, per rendere conto di una quantità così elevata di massa sarebbe necessario modificare i modelli cosmologici, o rivedere la comprensione scientifica della formazione delle galassie nell’universo primordiale – secondo cui le prime galassie sono nate come piccole nubi di stelle e polveri che si sono gradualmente ingrandite nel tempo, spiegano i ricercatori. Ad ogni modo, entrambi gli scenari richiederebbero un cambiamento fondamentale nella nostra comprensione di come è nato l’universo.

«La rivelazione che la formazione di galassie massicce è iniziata molto presto nella storia dell’universo sconvolge quello che molti di noi pensavano fosse scienza consolidata», ribadisce Leja. «Abbiamo chiamato informalmente questi oggetti “universe breakers” e finora sono stati all’altezza del loro nome».

E se quelle individuate non fossero in realtà galassie? Nell’articolo i ricercatori parlano di questi oggetti come di candidate galassie. Dunque, la possibilità che si tratti di qualcos‘altro c’è, come spiegano gli stessi autori, anche se si tratta di una possibilità remota.

«Quando abbiamo ricevuto i primi dati del Jwst, tutti hanno iniziato le analisi e questi enormi oggetti sono saltati fuori molto rapidamente», sottolinea Leja. «Abbiamo iniziato a modellare e a cercare di capire cosa fossero, perché erano così grandi e luminosi. Il mio primo pensiero è stato che avessimo commesso un errore e che avremmo dovuto scoprirlo e andare avanti. Ma, nonostante i numerosi tentativi, non abbiamo ancora trovato quell’errore. I dati indicano che si tratta probabilmente di galassie. Nonostante questo, ritengo che ci sia la possibilità concreta che alcuni di questi oggetti siano buchi neri supermassicci oscurati. In ogni caso, la quantità di massa che abbiamo scoperto in questo periodo del nostro universo è fino a 100 volte maggiore di quanto si pensasse in precedenza. E anche se dimezzassimo il campione, si tratterebbe comunque di un cambiamento sorprendente».

Un modo per confermare la scoperta del team e fugare ogni dubbio c’è e consiste nell’ottenere gli spettri di questi oggetti. Ciò fornirebbe dati sulle distanze reali, sui gas e sugli altri elementi che compongono le galassie, che il team potrebbe poi utilizzare per costruire un quadro più chiaro circa le caratteristiche di queste galassie. «Uno spettro ci dirà immediatamente se questi oggetti sono reali o meno», conclude Leja. «Ci mostrerà quanto sono grandi e quanto queste galassie sono lontane. E tutto ciò è alla portata di James Webb»

 

Fonte: Media INAF

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