Se c’è una caratteristica che più di tutte contraddistingue il mestiere dell’astronomo, questa è l’attitudine a classificare. Gli astronomi catalogano tutto, per fortuna. È qualcosa di innato, che risale alla notte dei tempi. Sulla base delle abbondanze di elementi chimici più pesanti di idrogeno ed elio – i cosiddetti “metalli” – raggruppano ad esempio le stelle in due principali categorie: stelle ricche di metalli (metal-rich stars) e stelle povere di metalli (metal-poor stars). Al primo gruppo appartengono le stelle di popolazione I, ossia le stelle di formazione più recente, dunque più giovani. Al secondo appartengono invece le stelle più avanti con l’età, dunque più antiche, formatesi poco dopo il Big Bang – chiamate stelle di popolazione II.
Tutto qui? Niente affatto. Gli astronomi suddividono le stelle a bassa metallicità ulteriormente in sottogruppi. Ci sono quindi le stelle “estremamente povere di metalli” (extremely metal-poor stars, Xmp), quelle “ultra povere di metalli” (ultra metal-poor stars, Ump), quelle “iper povere di metalli” (hyper metal-poor stars, Hmp) e, infine, quelle “mega povere di metalli” (mega metal-poor star, Mmp). Se poi oltre a essere scarsamente metalliche queste stelle sono arricchite di carbonio, entriamo in un’altra sottocategoria, quella delle carbon-enhanced metal-poor stars (Cemp). E se sono povere di metalli, ricche in carbonio e non presentano tracce di elementi chimici prodotti per cattura neutronica – un particolare tipo di nucleosintesi – allora siamo nell’ambito di un’altra sottocategoria ancora: quella delle stelle Cemp-no, acronimo di chemical enriched metal poor stars with no heavy elements.
Secondo gli astronomi, i membri di quest’ultimo gruppo sono astri originatisi dal materiale espulso con la morte delle prime stelle formatesi nell’universo. Sono cioè le stelle più antiche che conosciamo. Ottenere informazioni sul loro conto è fondamentale sia per gettare nuova luce sulla formazione delle prime generazioni di stelle che per tracciare l’origine degli elementi nel cosmo, elementi che portano con sé le impronte chimiche della prima evoluzione galattica.
Paolo Molaro, astronomo dell’Inaf di Trieste, è uno degli scienziati che si interessa allo studio di queste stelle “fossili”. Nel 1998, insieme ai colleghi Piercarlo Bonifacio, Giovanni Vladilo e Timothy Beers, firma l’articolo che riporta la scoperta del primo componente di questo gruppo: la stella CS22957-027. Una delle ultime ricerche di cui si è occupato riguarda l’analisi della composizione degli isotopi del carbonio proprio in queste stelle, in particolare nelle atmosfere di alcune delle Cemp-no più povere di metalli che si conoscano. Lo studio, che porta il suo come primo nome e che coinvolge numerosi altri astronomi dell’Istituto nazionale di astrofisica, è stato pubblicato il mese scorso su Astronomy and Astrophysics. Per saperne di più, lo abbiamo intervistato.
Molaro, cosa sono esattamente le stelle Cemp, e perché è così importante studiarle?
«Le Cemp sono stelle con un’abbondanza molto alta di carbonio rispetto agli altri elementi. Possono avere da 100 a 10mila volte più atomi di carbonio che di ferro rispetto alle loro relative abbondanze cosmiche. Ce ne sono di due tipi: le Cemp-no e le Cemp-s. Le Cemp-no sono prive, o hanno valori molto bassi, di elementi pesanti la cui nucleosintesi procede per cattura di neutroni, come ad esempio il bario o lo stronzio. Le Cemp-s, invece, sono caratterizzate dalla presenza di questi elementi pesanti oltreché dall’elevata abbondanza di carbonio. Le due classi di stelle sono molto diverse tra loro e hanno poco in comune. Le Cemp-s sono stelle binarie dove la compagna è una stella evoluta che ha passato la fase di Agb (Asymptotic Giant Branch) e ha trasferito sia gli elementi neutron-capture che il carbonio alla stella primaria. Le Cemp-no hanno invece un’origine ancora sconosciuta. È stato suggerito che possano essere il prodotto di faint supernovae, cioè supernove a bassa energia che espellono solo gli strati esterni e che, diversamente dalle supernove classiche, non fanno ferro, o ne hanno molto poco. La cosa intrigante è che tutte le stelle più vecchie che si conoscono attualmente sono del tipo Cemp-no, la prima delle quali è stata scoperta da me e da Bonifacio nel lontano 1996. Ricordo ancora i mille interrogativi che ci siamo posti allora, e a distanza di quasi 30 anni quegli stessi interrogativi sono ancora di attualità».
Nel vostro studio avete determinato il rapporto di abbondanza carbonio-12/carbonio-13 in un campione di queste stelle. Perché avete scelto questi due isotopi? E in che modo avete ottenuto la misura?
«Nelle stelle molto povere di metalli il set di elementi che si possono misurare è limitatissimo. In genere si riesce a misurare il calcio, il magnesio e qualche volta il ferro, ma non sempre. Nelle Cemp risulta facile misurare il carbonio proprio grazie alla sua sovrabbondanza. Abbiamo quindi pensato di sfruttare questa peculiarità e tentare di misurare il carbonio-13, che è l’isotopo raro del carbonio, nonostante le previsioni teoriche fossero molto sfavorevoli in quanto lo davano almeno mille volte meno abbondante del carbonio-12. La misura è stata possibile grazie a uno spettrografo fenomenale come Espresso, che oltre a essere stabile ha un’elevata risoluzione spettrale, ideale per misurare i rapporti isotopici. Il progetto è stato sviluppato nell’ambito del tempo garantito offerto dall’Eso al consorzio che ha costruito lo strumento – consorzio nel quale l’Italia, con l’Inaf, ha avuto un ruolo molto importante».
Cosa ci dicono di interessante i risultati?
«Le previsioni teoriche prevedono un rapporto C12/C13 in queste stelle superiore a 1000. Noi abbiamo trovato che il rapporto è minore di 100, ciò a causa dell’elevata abbondanza del carbonio-13. In particolare abbiamo misurato il C13 in sei delle stelle più povere di metalli, che si ritiene siano anche le più antiche. La luminosità assoluta di queste le stelle le pone nel ramo delle giganti, in un caso addirittura in sequenza principale. Si può quindi escludere che il carbonio-13 sia stato sintetizzato all’interno di queste stelle. Ne segue che deve essere stato prodotto nei progenitori, che hanno poi arricchito il gas da cui queste stelle si sono formate. Questo è possibile se i progenitori oltre ad avere un gas a bassissima metallicità erano anche in rotazione elevata. Il risultato quindi conferma che le prime stelle erano di questo tipo e in grado di sintetizzare elevate quantità di carbonio-13. Considerato poi che il C13 è la sorgente principale di neutroni che servono per la sintesi degli elementi a cattura neutronica, tutta l’evoluzione chimica di questi ultimi va riconsiderata, unitamente a quella del carbonio-13. Insomma, è una piccola rivoluzione nell’evoluzione chimica della nostra galassia.
E adesso, quali sono i prossimi passi?
«Questo è un lavoro pilota condotto con il contributo determinante di David Aguado, postdoc a Firenze quando abbiamo iniziato a lavorare allo studio, e di Elisabetta Caffau, italiana che lavora all’Osservatorio di Parigi. Ha interessato principalmente tutte e sei le stelle con più basso contenuto di metalli. Ora il progetto è quello di continuare con questo tipo di misure in altre stelle Cemp-no di diverse metallicità e cercare di comprendere la risalita del rapporto C12/C13 al valore solare. Abbiamo già presentato una proposta in questo senso e speriamo ci sia accordata questa possibilità».
Fonte: Media INAF