L’universo è pieno di polvere. Polvere cosmica. Polvere che, se da una parte può sembrarci fastidiosa, oscurando la visuale dei telescopi ottici e traendo di tanto in tanto in inganno i cosmologi, dall’altra gioca un ruolo fondamentale in numerosi processi fisici – non ultimo la formazione dei mondi come quello nel quale viviamo. Proprio come la polvere che troviamo ovunque qui sulla Terra, la polvere cosmica è costituita da grumi di molecole che si sono condensate e unite a formare granelli. Ma da dove arriva, tutta questa polvere? Chi la produce? La sua origine ha rappresentato a lungo un mistero. Un mistero che ora – grazie a un’osservazione durata oltre mille giorni di Sn 2018evt, una supernova vista esplodere nell’agosto 2018 a oltre 300 milioni di anni luce da noi – inizia a dissiparsi.
A dire il vero, esistono fabbriche di polvere straordinarie conosciute da tempo: le supernove. Ma finora la polvere che generano era stata osservata solo per una famiglia particolare di supernove: quelle a collasso nucleare, prodotte appunto dal collasso del nucleo – e dalla conseguente esplosione – di stelle molto massicce, almeno nove volte la massa del Sole. Sono le cosiddette supernove di tipo II. Il problema è che le supernove di tipo II difficilmente avvengono nelle galassie ellittiche – enormi agglomerati di stelle d’aspetto sferoidale e senza strutture definite quali, per esempio, i bracci a spirale della nostra Via Lattea.
Da dove arriva, dunque, la polvere presente nelle galassie ellittiche? I dati raccolti dallo spazio e da terra – con satelliti come Spitzer e NeoWise della Nasa, con la rete globale di telescopi dell’Osservatorio di Las Cumbres e altri in Cina, Sud America e Australia – nei tre anni di osservazione di Sn 2018evt, pubblicati la settimana scorsa su Nature Astronomy da un team guidato da Lingzhi Wang dell’Accademia cinese delle scienze, offrono una risposta proprio a questa domanda: la polvere può essere prodotta anche dalle supernove di tipo Ia.
Sn 2018evt, infatti, non è una un supernova a collasso nucleare, bensì appartiene alla famiglia delle supernove termonucleari, quelle di tipo Ia, prodotte dall’esplosione di nane bianche in sistemi binari con stelle compagne, alle quali sottraggono man mano massa fino a raggiungere il cosiddetto limite di Chandrasekhar. E, diversamente dagli altri tipi di supernove, quelle di tipo Ia – studiatissime dagli astronomi perché possono essere usate come candele standard per stimare le distanze cosmiche – si trovano in qualunque tipo di galassia, ellittiche comprese.
A fornire la prova della formazione di polvere a seguito dell’esplosione di Sn 2018evt è stato il repentino diminuire della sua luminosità in banda ottica, oscurata appunto dalla polvere, accompagnato da un aumento della luminosità in banda infrarossa, dovuto al fatto che il gas circumstellare, dopo il passaggio dell’onda d’urto della supernova, stava tornando a raffreddarsi. «La polvere si forma quando il gas si raffredda al punto da condensare», spiega infatti uno dei coautori dello studio, Andy Howell, dell’Osservatorio di Las Cumbres e dell’Università della California a Santa Barbara.
«Le origini della polvere cosmica sono state a lungo un mistero. Il nostro studio», conclude Wang, primo autore dell’articolo pubblicato su Nature Astronomy, «rappresenta il primo rilevamento di un processo di formazione di polvere significativo e rapido in una supernova termonucleare che interagisce con il gas circumstellare».
Fonte: Media INAF