Immaginate di salire sulla bilancia e scoprire che la lancetta segna un valore pari ad appena il 20-25 per cento di quello dell’ultima volta che vi siete pesati… È quello che è accaduto alla Via Lattea, la nostra galassia. La “bilancia”, nel suo caso, si chiama Gaia – il telescopio spaziale dell’Esa per l’astrometria – e all’ultima pesata è risultato che avrebbe una massa pari ad “appena” duecento miliardi di volte quella del Sole: da quattro a cinque volte più bassa rispetto ai circa mille miliardi di masse solari ottenuti da precedenti stime.
La misura – a oggi la più accurata della massa della Via Lattea – è stata assai più complicata che togliersi abiti e scarpe e salire su un piatto: ha richiesto una lunga e paziente analisi della terza release dei dati acquisiti con Gaia – la cosiddetta Gaia Dr3 – da parte di un team di astronomi guidato da Yongjun Jiao dell’Observatoire de Paris e del Cnrs. Il metodo utilizzato è quello del calcolo della curva di rotazione, ovvero della velocità orbitale delle stelle in funzione della loro distanza dal centro galattico. Il grafico ottenuto – lo vedete nell’immagine di apertura – mostra per le stelle più lontane (quelle oltre i 60mila anni luce) un andamento tipico che gli astronomi chiamano “declino kepleriano”: vale a dire, una velocità che cresce – o meglio, decresce – in modo proporzionale all’inverso della radice quadrata del raggio. E poiché la velocità orbitale dipende anche dalla massa, ecco che da queste misure è possibile risalire al “peso” della nostra galassia.
Ma com’è possibile che la Via Lattea si ritrovi di punto in bianco con una massa che è pari a un quarto, se non a un quinto, di quel che ci si attendeva? Poiché anche per una galassia è improbabile arrivare a perdere il 75-80 per cento del proprio peso solo con sport e dieta, il sospetto che ci fosse qualcosa che non andava nelle stime precedenti è giustificato. In particolare, le conclusioni dello studio francese, di prossima uscita su Astronomy & Astrophysics, sembrano suggerire l‘assenza di quantità significative di materia al di fuori del disco visibile. Considerando che la materia ordinaria – stelle e gas freddo, dunque – della Via Lattea è generalmente stimata in poco più di 60 miliardi di masse solari, essa rappresenterebbe circa un terzo della materia totale misurata ora con Gaia. Dunque quella oscura risulterebbe essere appena il doppio di quella ordinaria: un risultato sorprendente, scrivono gli autori dello studio, visto che finora si riteneva che la materia oscura dovesse essere almeno sei volte più abbondante della materia ordinaria. Anche se non del tutto inedito, visto che l’ipotesi di una Via Lattea senza – o con poca – materia oscura è già stata formulata in passato, e ne avevamo parlato almeno in un’occasione anche su Media Inaf.
Come spiegarlo? Se quasi tutte le altre grandi galassie a spirale non mostrano una curva di rotazione con declino kepleriano, perché la nostra dovrebbe essere diversa? Le spiegazioni proposte da Jiao e colleghi sono due. Una prima possibilità è legata al fatto che la Via Lattea, nel corso della sua storia, sembra abbia subito poche perturbazioni a seguito di collisioni violente tra galassie: l’ultima risale a circa nove miliardi di anni fa, contro una media di sei miliardi di anni osservata per le altre galassie a spirale. Ciò fra l’altro, sottolineano gli autori dello studio, implica che la curva di rotazione ottenuta per la Via Lattea sia particolarmente accurata, non essendo influenzata dai postumi di una collisione “recente”. La seconda possibilità ha invece a che fare con la differenza metodologica fra le misure della curva di rotazione della Via Lattea a partire dai dati di Gaia – dati “a sei dimensioni”, tanti sono i parametri che caratterizzano ciascuna dei quasi due miliardi di stelle presenti nella sua mappa – e le misure relative alla maggior parte delle altre galassie, basate invece sull’osservazione del gas neutro.
Comunque sia, pare proprio che sulle curve di rotazione delle grandi galassie a spirale – e sulle stime relative alla materia oscura in esse presente – ci sarà parecchio lavoro da fare.
Fonte: Media INAF